«Memory Box», un doloroso viaggio nei ricordi
Sommario: Da non perdere il film di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige. Tra le novità anche «Una madre, una figlia» di Mahamat-Saleh Haroun
di Andrea Chimento
3' di lettura
Un viaggio nella memoria, nell'inconscio e nei ricordi: si può sintetizzare così «Memory Box», film grande protagonista del weekend al cinema.
Al centro della storia c'è Maia, una donna che vive a Montreal con la figlia adolescente, Alex. Un giorno le viene recapitata una grande scatola con all'interno diversi frammenti della sua adolescenza, a Beirut nel corso degli anni Ottanta: nonostante la madre non voglia, Alex inizia a guardare quei ricordi per provare a conoscere meglio la donna che l'ha messa al mondo.
Diretto dalla coppia di registi Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, «Memory Box» è un film che, dopo una primissima parte in cui fatica un po' a carburare, cresce alla distanza e prende tutta un'altra piega dopo che viene scoperchiata la “scatola della memoria”, un vero e proprio vaso di Pandora pieno di segreti.La guerra civile libanese è lo sfondo su cui si muove un lungometraggio che è un percorso di autoanalisi nei traumi rimossi, con un andamento simile a quello di altri lungometraggi che raccontano i conflitti del Medio Oriente, come «Valzer con Bashir» di Ari Folman o il recente «Flee», filtrati attraverso la memoria individuale di persone che hanno vissuto esperienze terribili.
I personaggi femminili
Molto interessante è la costruzione dei personaggi femminili: si interfacciano lungo la pellicola diverse generazioni di donne, collegate anche a diverse modalità di archiviare le immagini, a seconda che siamo nel passato o nel presente.
Le fotografie prendono vita
Durante la visione, «Memory Box» mescola sempre più realtà e finzione, fantasia e realtà dei ricordi messi in scena. La coppia di registi gioca molto con un apparato formale efficace nel creare direttamente il contenuto del lungometraggio: è anche il Cinema uno dei grandi protagonisti di questo film, capace di regalare alcune sorprendenti sequenze in cui le fotografie prendono vita, filtrate dallo sguardo della giovane Alex. Se gli spunti visivi sono notevoli, non è da meno una bellissima colonna sonora, che contribuisce ad arricchire il già potente versante emotivo. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2021, «Memory Box» è un lungometraggio in grado di stupire e far riflettere: da non perdere.
Una madre, una figlia
Un altro dramma al femminile tra le novità in sala è «Una madre, una figlia», film diretto dal regista ciadiano Mahamat-Saleh Haroun, presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes.Protagonista è Amina, una donna che vive da sola con la sua unica figlia quindicenne, Maria. L’esistenza già difficile delle due donne si complica ulteriormente quando la ragazza rimane incinta: Maria, però, non vuole questa gravidanza e in un paese in cui l’aborto non è solo condannato dalla religione, ma anche dalla legge, Amina si troverà ad affrontare una battaglia che sembra persa in partenza.Dramma impegnato e dalle forti valenze politiche, «Una madre, una figlia» è un prodotto che cerca non solo di raccontare l’arretratezza di un paese come il Ciad, ma anche di riflettere sui legami umani (il titolo originale, “Lingui”, fa riferimento proprio a questo) e sulla condizione delle donne in Africa.Essenziale nella forma e nella sceneggiatura, il film risulta purtroppo eccessivamente scolastico in alcuni passaggi, anche se è comunque a tratti incisivo grazie al realismo della messinscena e alla forza delle immagini proposte.Dopo alcuni film poco riusciti, si ritrova almeno in parte il talento che Mahamat-Saleh Haroun aveva dimostrato con quello che rimane ancora oggi il suo lavoro migliore, «Daratt – La stagione del perdono» del 2006.
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