«Un eroe», dall'Iran un intenso dramma morale
Protagonista dell'inizio del nuovo anno in sala l'ultimo lavoro di Asghar Farhadi, autore che aveva emozionato con film come «Una separazione» e «Il passato»
di Andrea Chimento
I punti chiave
3' di lettura
Il nuovo anno si apre sotto il segno del cinema d'autore: grande protagonista della settimana in sala è «Un eroe», nuovo film del celebre regista iraniano Asghar Farhadi.
Dopo la poco riuscita parentesi spagnola con «Tutti lo sanno», Farhadi torna in patria e firma una pellicola decisamente nelle sue corde, che può ricordare i suoi lungometraggi migliori.
Autore di un vero e proprio capolavoro come «Una separazione» e di diversi altri titoli importanti, come «Il passato» e «Il cliente», Farhadi si concentra in questo caso sulla storia di un uomo, Rahim, che si trova in carcere a causa di un debito che non è stato in grado di pagare. Durante un congedo di due giorni, cerca di convincere il creditore a ritirare la denuncia, ma le cose prendono una piega inaspettata. Rahim scopre che la sua ragazza ha trovato una borsa con delle monete d’oro: decide però che non è quella la strada per sanare il suo debito. Quando si diffonde la notizia, diventerà famoso e le persone faranno una colletta per aiutarlo.Come altre sue pellicole precedenti, anche «Un eroe» è un dramma morale che ruota attorno a un singolo evento, decisivo per l'intera sceneggiatura e capace di generare conseguenze imprevedibili e punti di vista differenti.
Un film politicamente impegnato
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2021, dove ha ottenuto il prestigioso Grand Prix Speciale della Giuria, il film mette in scena un intenso percorso sul senso etico e sulla giustizia, efficace nel coinvolgere lo spettatore che si trova a immedesimarsi e chiedersi se, nei panni del protagonista, avrebbe fatto o meno le stesse scelte.Prodotto impegnato, sia da un punto di vista civile che da quello politico, «Un eroe» è un film che segue alcune traiettorie narrative che sanno di già visto e con cui Farhadi gioca un bel po' sul sicuro: nonostante non si prenda grandi rischi, però, il regista conferma la sua ottima mano con un lungometraggio che cresce alla distanza e raggiunge il suo apice nella splendida conclusione.Da ricordare che il film è stato candidato tra i migliori titoli in lingua straniera che si contenderanno il Golden Globe questa domenica: nella cinquina Farhadi si troverà di fronte anche Paolo Sorrentino con «È stata la mano di Dio» e chissà che questa sfida non si ripeterà anche ai prossimi premi Oscar.
The King's Man – Le origini
Tra le novità in sala c'è anche il terzo capitolo della saga cinematografica basata sul Comic Book «The Secret Service» di Mark Millar e Dave Gibbons.Diretto da Matthew Vaugh, già regista dei due film precedenti, «The King's Man – Le origini» descrive come è nata la nota agenzia di intelligence, ampliando di molto i collegamenti storici rispetto agli altri lungometraggi del franchise.La sceneggiatura, anche per questa ragione, è molto ambiziosa e a tratti un po' confusa, ma propone spunti meno grossolani del passato, mantenendo discreto il livello del divertimento.Un po' troppo sovrabbondante nel materiale audiovisivo, il film perde la bussola in diversi passaggi e Vaughn non riesce sempre a dare il giusto equilibrio al tutto, ma non mancano sequenze degne di nota e un gruppo di attori decisamente in parte: Ralph Fiennes, in primis.
C'è un soffio di vita soltanto
Una menzione va anche all'interessantissimo documentario italiano «C'è un soffio di vita soltanto», firmato da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, in sala da lunedì.Presentato al Torino Film Festival, il film racconta la vita di Lucy, 95 anni, che nella sua casa ha vecchie foto che raccontano l'adolescenza di un ragazzo che all'epoca si chiamava Luciano e stava per vivere il periodo più terribile della sua vita. Lucy è la donna transessuale più anziana d'Italia, una dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Dachau ancora in vita.Attraverso la vita del personaggio si ripercorre la storia di un intero secolo: l'esistenza turbolenta di Lucy diviene metafora di un'umanità che non si arrende ed è sempre pronta a trovare il modo migliore per (soprav)vivere. Un documentario che parte dalla memoria storica per arrivare al presente, semplice nella messinscena ma incisivo nei contenuti e in tutto quello che descrive.
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