Finale di Champions: Manchester City-Inter 1-0, coppa agli inglesi
Manchester City-Inter 1-0, coppa agli inglesi. Il gol decisivo di Rodri, al 23’ del secondo tempo
dall'inviato Dario Ricci
4' di lettura
ISTANBUL - Il Manchester City batte 1-0 l’Inter nella finale di Istanbul e vince la Champions League. Il gol decisivo di Rodri, al 23’ del secondo tempo.
Nei giorni precedenti con due ore di volo da Malpensa; un’ora e mezza per uscire dall’aeroporto, tra controllo passaporti, bagagli e traffico (anzi, soprattutto traffico) arriviamo a Istanbul.
Basti questa crono-scaletta per far capire – a chi magari non la conoscesse bene… - cos’è Istanbul e i milioni di vetture che l’attraversano in lungo e in largo, di collina in collina fino a scendere verso il mare; caos (più o meno) organizzato cui aggiungere una delle finali di Champions più attese almeno dell’ultimo ventennio.
Eppure, dopo una ventina di telefonate via whatsapp, una decina di traduzioni scritte e a voce via Google, parecchi cenni fatti a diversi incroci, un paio di timide richieste a qualche poliziotto a un altro paio di rotonde, la buona sorte ha deciso di guardare anche verso il volenteroso cronista, entrato nella sala conferenze dello stadio Olimpico Ataturk proprio nel preciso istante in cui Matteo Darmian, Lautaro Martinez e Hakan Chalanoglu prendevano posto davanti ai rispettivi microfoni per la rituale conferenza stampa della vigilia, per essere poi seguiti, a una mezz’ora di distanza, dall’asso di coppe nerazzurro, al secolo Simone Inzaghi.
L’attesa
Serenità. Questa è stata la parola d’ordine della vigilia mentre il sole s’immergeva tra il Bosforo e i Dardanelli, scandendo il conto alla rovescia verso il calcio d’inizio.
Serenità di facciata, certo, perché come dice Pep Guardiola queste partite ti fanno sentire «le farfalle nello stomaco» e solo loro, i protagonisti, sapranno domattina come avranno dormito e con quale spirito entreranno sul prato dell’Ataturk sognando di rispecchiarsi, magari tre ore dopo, nella Coppa dalle Grandi Orecchie.
E allora, come ovvio e prevedibile, più delle parole – che trasudano determinazione, rispetto reciproco, consapevolezza – contano le facce, le smorfie, il cosiddetto body language, che magari lasci intravvedere quello che schemi retorici consolidati e luoghi comuni ormai stratificati riescono quasi meccanicamente a nascondere.
Eppure, gli sguardi nerazzurri sereni lo sembravano davvero, consapevoli della durezza della salita che li aspetta, ma pure di poterla affrontare nel momento di forma migliore, e pure in quella fase della stagione in cui nodi e dubbi e incomprensioni sembravano ormai definitivamente superate, grazie ai risultati e nel nome dell’interesse comune.
Insieme. Non a caso Inzaghi (straordinario e bonario imbonitore, solo apparentemente dotato di un’ars retorica scarnificata ed essenziale) ben sottolineava il concetto-chiave di questa, e soprattutto della serata che verrà: “insieme”.
Parolina magica che il tecnico declina così, quasi senza calcare accenti e toni, ma in modo quantomai efficace: «Insieme siamo arrivati qui, e insieme proveremo a fare l’ultimo passo, quello dell’impresa».
Avverbio di modo che apre un mondo, all’interlocutore che voglia comprendere per intero il significato: insieme vuol dire compattezza e unità d’intenti, insieme si proveranno a inaridire le fonti del gioco dei citizens, insieme si metterà argine allo strapotere fisico di Haaland, insieme si proverà a colpire ogni qual volta ce ne sarà – o si sarà bravi a creare – la possibilità.
Al punto che pure Lautaro, sollecitato sul tema, declinava educatamente il ruolo di leader dello spogliatoio, invocando invece uno spirito collettivo che dava l’idea meglio di qualsiasi lavagnetta intrisa di schemi di che Inter si troverà di fronte il Manchester City targato campioni, sceicchi e petrodollari (ma anche tecnica e gioco, ci mancherebbe, sennò Guardiola che ci starebbe a fare??)
Schermaglie
Non rinunciava il buon Pep (visto che poi saranno minimi dettagli a fare la differenza) a guadagnare almeno retoricamente qualche metro di campo, forse timoroso che dal bunker (dinamico, però) nerazzurro possano spuntar fuori guastatori in serie capaci di mandargli di traverso lo champagne che qualcuno a Manchester (sponda Ethiad Stadium) magari ha già messo in fresco.
Analizzava con freddezza il match che sarebbe poi stato, il catalano, e lasciava in fondo l’amaro di un fendente che anticipava l’essenza del duello che p andata in in scena.
«L’Inter è abituata non solo a difendere. Le squadre italiane sanno coprire bene gli spazi, ma l’Inter aggiunge l’abilità a non innervosirsi se viene pressata e a uscire con la palla al piede. I nerazzurri possono farci male con gli attaccanti, sono bravi nel possesso e ad attaccare sia al centro sia sulle fasce. Se sbagliamo qualcosa ci possono mettere in difficoltà. Bisognerà sbagliare il meno possibile - continuava Guardiola - e difendere con una difesa alta. Seguire un piano gara ti dà stabilità e sapere cosa devi fare è importante, ma ci sono dei momenti in cui le partite impazziscono e devi mettere tutti attaccanti o tutti difensori: quando saltano gli schemi c’è solo la voglia di vincere. All’inizio però ci deve essere un piano gara, un approccio, bisogna essere pazienti e rispettare quello che si è preparato anche se si è 0-0 contro una squadra italiana. E sullo 0-0 gli italiani pensano di essere in vantaggio... Per noi è il contrario».
Insomma, provocazione di seconda mano e priva di quei guizzi di originalità cui Pep ci ha sovente abituato. Ma appunto il 9 giugno era solo il giorno delle parole. E oggi il verdetto del campo ha premiato il Manchester City.
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