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Fipe denuncia il «dumping contrattuale» sul costo del personale in bar e ristoranti

La Confcommercio denuncia il ricorso a contratti differenti che comportano retribuzioni minori e condizioni più penalizzanti rispetto a quello siglato dall’organizzazione dei pubblici esercizi

di Emiliano Sgambato

(Raffaele Conti RC88 - stock.adobe.com)

2' di lettura

All’interno del settore di bar e ristoranti ci sono differenze sostanziali di trattamento previste dai diversi contratti di lavoro che vengono applicati. «Queste distorsioni, economiche e normative, generano fenomeni dannosi di concorrenza sleale tra le imprese e non premiano la professionalità che i migliori imprenditori del settore, giustamente, ricercano e favoriscono, anche stimolando motivazioni e prospettive professionali».

Lo ha affermato Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio (Federazione italiana dei pubblici esercizi), intervenendo al convegno “Dumping contrattuale: il caso dei Pubblici esercizi” organizzato nella sede del Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

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Una distorsione che tra l’altro si innesta in un contesto nel quale gli operatori affermano come sia sempre più difficile trovare manodopera qualificata per il settore.Un terzo del ristoratori infatti ha cercato personale nel 2021 e ben il 64% ha dichiarato di aver avuto abbastanza o molta difficoltà nel reperirlo. Da qui la necessità di aumentare e migliorare l'offerta formativa da un lato, ma anche di cercare di agire sui salari (ad esempio attraverso l’alleggerimento del cuneo fiscale) e sugli orari di lavoro, con la previsioni di regole chiare sulla turnazione del personale.

«Per porre fine a questo fenomeno, i contratti nazionali di lavoro delle organizzazioni più rappresentative devono costituire il riferimento – spiega Stoppani – per determinare le migliori condizioni di lavoro all’interno dei settori economici, contrastando la proliferazione dei contratti sottoscritti con il criterio della sottrazione, che tolgono dignità al lavoro e impediscono la crescita delle competenze».

Secondo l’indagine effettuata in collaborazione con Adapt, infatti, «sono marcate» le differenze tra diversi contratti di settore. Se l’accordo nazionale siglato nel 2018 da Fipe, utilizzato dalla maggioranza delle imprese e dei lavoratori, prevede per un cameriere di sala una retribuzione minima di circa 1.500 euro al mese lordi per 8 ore giornaliere, il secondo contratto censito per numero di lavoratori coinvolti, circa 11mila, si ferma a 1.300 euro mensili. Inoltre, la durata media del periodo di prova per un cameriere con contratto Fipe è di 30 giorni, mentre in altri casi si arriva addirittura a 140 giorni. Discorso analogo per quanto riguarda gli straordinari: il contratto Fipe-Confcommercio prevede una maggiorazione del 30%, mentre altri contratti si fermano al 15%.

Intanto anche il settore horeca deve fare i conti con l’aumento dei costi. In una nota la Fipe ha affermato come l’impennata dell’inflazione (mediamente arrivata all’8% a giugno) «non si riscontra nel settore della ristorazione», dove rispetto a un anno fa, «l’inflazione è al 4,4%, nonostante l’accelerazione dei prezzi dei beni energetici (la cui crescita è passata da +42,6% di maggio a +48,7%) e di quelli dei beni alimentari, sia lavorati (da +6,6% a +8,1%) sia non lavorati (da +7,9% a +9,6%)». Tuttavia è «difficile che nei prossimi mesi i listini di bar e ristoranti non vengano maggiormente toccati dalla fiammata inflazionistica che sta attraversando l’intera economia».

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