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I prossimi giorni saranno decisamente importanti per i contribuenti e per i professionisti alle prese con le scelte sulla pace fiscale. Entro il 31 maggio, infatti, si dovrà decidere se aderire alla chiusura delle liti tributarie pendenti, alla sanatoria degli errori formali e alla definizione dei processi verbali di constatazione.
La rottamazione delle cartelle esattoriali, anche nella modalità del “saldo e stralcio”, ha invece chiuso i battenti alla fine di aprile e i contribuenti attendono i calcoli dell’Agenzia della riscossione, ma con la conversione del decreto crescita arriverà, di fatto, una riapertura del termine che consentirà di presentare la domanda di adesione entro il 31 luglio. Saranno considerate valide anche le istanze inoltrate dopo il 30 aprile e prima della data di entrata in vigore della conversione del decreto crescita.
In questo momento, quindi, appare prematuro azzardare bilanci sull’esito dell’operazione “pace fiscale” decisa dal governo M5s-Lega. Eppure, volendo fotografare la situazione a oggi, due considerazioni sembrano emergere in modo chiaro.
La prima riguarda il fatto che nulla pare in grado di scalfire l’appeal delle rottamazioni. Molte sanatorie, in passato, hanno avuto un enorme gradimento. Per esempio, i condoni del 2003-2004 sono stati utilizzati da oltre 4,3 milioni di contribuenti (fonte: Corte dei conti). Ecco, dal 2016 a oggi, le tre rottamazioni delle cartelle esattoriali insidiano quel record: vi hanno aderito oltre 4 milioni di soggetti (in particolare, le due rottamazioni dei governi Renzi-Gentiloni hanno visto in campo 2,3 milioni di contribuenti ai quali ora se ne aggiungono ora altri 1,7 milioni con la nuova versione del governo giallo-verde). E altri se ne aggiungeranno, vista l’ulteriore finestra che si aprirà fino al 31 luglio.
A pensarci bene, la possibilità di rottamare le cartelle esattoriali è concessa quasi ininterrottamente da oltre tre anni. Una condizione che la fa assomigliare moltissimo a una vera e propria sanatoria permanente. Che sarà certo utilissima per le casse dello Stato e per l’amministrazione, che in questo modo può ripulire a colpi di decine e decine di miliardi di euro il proprio “magazzino” di cartelle non riscosse (che, va detto, sarebbero comunque difficilmente state incassate). E che però, senza cedere a eccessi di moralismo, resta pur sempre una modalità iniqua e anche stucchevole per i molti, moltissimi cittadini che di rottamazioni non hanno mai avuto bisogno e, quando necessario, hanno pagato le loro cartelle e loro multe con tanto di sanzioni, interessi e nessuno sconto.
La seconda considerazione conferma in pieno il giudizio, largamente critico, di molti osservatori sulle altre tre sanatorie in scadenza a fine mese. Come è facile intuire, i condoni funzionano se le norme che li prevedono sono chiare e di semplice applicazione. Se i contribuenti si imbattono invece in complicazioni e incertezze a raffica, il vantaggio del condono finisce per venire meno. Si prenda la sanatoria degli errori formali: basta avere un po’ di buonsenso per capire che si rischia il flop perché, se neppure l’amministrazione finanziaria ha le idee chiare su che cosa possa essere considerato un errore formale, allora è facile cogliere il disagio e il disorientamento degli operatori e dei contribuenti.
Un ginepraio totale, con l’agenzia delle Entrate letteralmente “in confusione” sul confine tra ciò che può o non può essere sanato, come ha scritto Dario Deotto sul Sole 24 Ore.
E ora: come se ne esce? Si fa finta di nulla? Si fa scivolare questa sanatoria nell’oblio? Si cerca una soluzione in extremis, nella consapevolezza che, comunque, da qui l’Erario attende un gettito di oltre 900 milioni di euro?
Domande complesse. Le cui risposte dipendono anche dagli scenari futuri, con le incognite che conosciamo, che ci proiettano a una nuova legge di Bilancio (sempre ammesso che sarà questo governo a occuparsene). I ben informati già scommettono sul fatto che a ottobre si riaprirà la partita sui condoni e che potrebbe tornare in campo anche quella particolare sanatoria tombale - dichiarazione integrativa speciale, era la definizione esatta - che l’autunno scorso aveva fatto litigare M5s e Lega, primo segnale della difficile convivenza tra i due alleati.
All’epoca, Salvini e i suoi fecero un passo indietro e l’integrativa fu accantonata. Dopo il voto europeo, specie se il peso specifico della Lega dovesse crescere in modo rilevante, le dinamiche potrebbero ribaltarsi. Vedremo. In fondo, come bene racconta la storia di questi anni, tra voluntary e rottamazioni, un condono non si nega a nessuno.
E la lotta all’evasione di cui tutti favoleggiano? Beh, quella – come al solito – può ancora attendere.
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