Fmi: la pandemia fa impennare debito e deficit
Gli interventi globali contro la crisi valgono 8mila miliardi di dollari. Il debito pubblico italiano balza oltre il 155% del Pil. Deficit all’8,3%
di Gianluca Di Donfrancesco
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Ottomila mila miliardi di dollari: a tanto ammonta lo sforzo messo in atto dagli Stati colpiti dalla pandemia di coronavirus per proteggere i propri cittadini e per contenere l’impatto economico del blocco delle attività produttive e sociali. Una crisi che sta spingendo il mondo in recessione, con una contrazione del Pil del 3% nel 2020 e una ripresa incerta nel 2021. A patto che l’epidemia scompaia nella seconda metà dell’anno.
La gran parte dell’importo già stanziato arriva dai Paesi del G20, che hanno messo sul piatto 7mila miliardi. A fare i conti è il Fondo monetario internazionale, nel Fiscal monitor, il report sul debito, diffuso il 15 aprile. Agli sforzi dei Governi si sommano i 6mila miliardi di dollari di iniezioni di liquidità da parte delle Banche centrali, secondo i calcoli del Global financial stability report.
Le spese sanitarie, insieme ai tagli delle tasse e ai sussidi per imprese e famiglie, si legge nel Fiscal monitor, sono già state pari a 3.300 miliardi di dollari. A queste si aggiungono prestiti e iniezioni di capitale pubblici per 1.800 miliardi di dollari e garanzie per altri 2.700 miliardi.
Debito alle stelle
L’impatto sulle finanze pubbliche sarà inevitabilmente rilevante, con livelli di debito preoccupanti soprattutto per quei Paesi che sono stati colti dalla pandemia con i conti già fuori equilibrio. Così, l’Italia, quest’anno vedrà salire il debito pubblico oltre il 155% del Pil, dal già alto 135% del 2019. «Con la ripresa dell’economia nel 2021, e con la Bce che tiene i tassi bassi, il debito è previsto scendere», afferma Vitor Gaspar, responsabile del Fiscal Monitor dell’Fmi.
Il debito pubblico italiano dovrebbe rientrare al 150% nel 2021, quando il Paese crescerà del 4,8%, dopo il crollo del 9,1% atteso per quest’anno. «La sfida per l’Italia - aggiunge Gaspar - è essere competitiva, rafforzare il potenziale di crescita e raggiungere una crescita inclusiva e sostenibile. Risolvere il problema del debito in Italia è risolvere il problema della crescita, che è stata deludente negli ultimi tre decenni».
Le condizioni di partenza, vale a dire lo stato dei conti pubblici prima del virus, contano. Perché contribuiscono a determinare i margini di manovra, definiscono le risorse impiegabili per reagire all’emergenza sanitaria e a quella economica, in uno shock che è simmetrico solo in apparenza e che di fatto si amplifica nelle situazioni di fragilità.
Per il Giappone, il rapporto tra debito e Pil schizzerà addirittura a quasi il 252%, mentre gli Usa lo vedranno salire al 131%. La virtuosa Germania resterà ampiamente entro margini di sicurezza, sotto al 70% del Pil dal 59,8% del 2019.
Italia, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito, ricorda l’Fmi, hanno varato «massicci pacchetti pubblici a sostegno della liquidità, compresi prestiti e garanzie, superiori al 10% del Pil». Nei Paesi del G20, tagli delle tasse e spesa pubblica (al netto quindi delle garanzie) hanno raggiunto un ammontare pari al 3,5% del Pil (situazione all’8 aprile): uno sforzo molto superiore a quello fatto per reagire alla crisi finanziaria del 2008.
Nel complesso, il debito pubblico mondiale salirà dall’83,3% al 96,4.
Il deficit accelera
Anche i conti tedeschi dovranno fare i conti con l’emergenza determinata dalla pandemia. Berlino ha rinunciato al tabù dello «zero nero», quell’ostinazione al pareggio di bilancio tanto criticata, ma che ora, nel momento più buio per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale, può rivendicare come una preziosa risorsa cui attingere. Quest’anno, la Germania registrerà un deficit del 5,5%, che rientrerà all’1,2% l’anno prossimo, secondo l’Fmi .
In Italia il disavanzo salirà all’8,3% (per scendere al 3,5% nel 2021), superato da quello in Francia (9,2%) e Spagna (9,5%). «Deficit più elevati in Europa sono appropriati», ha affermato durante un press briefing virtuale il responsabile del Dipartimento europeo dell’Fmi, Poul Thomsen.
Nei Paesi del G7, le misure di sostegno pubblico annunciate valgono in media il 5,9% del Pil. Negli Stati Uniti, il solo Coronavirus, aid, relief and economic security (Cares) Act comprende un intervento senza precedenti da 2mila miliardi di dollari, pari a quasi il 10% del Pil. Il disavanzo esploderà, secondo l’Fmi, passando dal 5,8 al 15,4%.
Nei 27 Paesi della Ue, le misure varate dai Governi valgono il 3,1% del Pil complessivo. A queste si sommano gli interventi messi in campo dall’Unione Europea a sostegno dei sistemi sanitari, delle imprese e dei disoccupati. Ci sono poi le misure per assicurare la liquidità, come prestiti o garanzie alle imprese, pari al 16,7% del Pil della Ue.
In Giappone, il Pacchetto economico d’emergenza vale il 20% del Pil, ricorda il Fondo.
Le ricette
Il Fiscal monitor ricorda che le misure di incentivo all’attività economica avranno maggior effetto quando la fase acuta della crisi sarà finita e le restrizioni alle attività sociali e produttive verranno revocate. Quando, cioè, le persone potranno spendere. In quella fase, l’Fmi suggerisce di alleggerire il cuneo fiscale, per rendere più conveniente assumere lavoratori da parte di imprese che saranno allo stremo, di ridurre l’Iva, per spingere i consumi, e infine di incentivare gli investimenti.
Molto però dipenderà ancora una volta dalle condizioni di finanza pubblica. Paesi avanzati, ma con scarsi margini di manovra, come Italia e Stati Uniti, spiega l’Fmi, «devono cercare di riconfigurare il proprio mix di spese ed entrate per permettere maggiori investimenti di capitale, soprattutto in settori dove la qualità del capitale pubblico si è deteriorata (sanità, trasporti, infrastrutture)».
Al contrario, Paesi con ampi margini di bilancio, come Germania e Olanda, possono sfruttare la situazione di bassi tassi di interesse per aumentare la spesa in sanità, ricerca e sviluppo, formazione e infrastrutture, introducendo contemporaneamente sistemi di incentivo fiscale per rafforzare la resilienza e la produttività del sistema economico.
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