«Fondazione Carima non solo aiuti ma anche incubatore di progetti»
Francesco Sabatucci Frisciotti Stendardi. Da circa un mese alla guida della Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata che oggi , più solida dopo il crack di Banca Marche, rilancia la sua azione sul territorio
di Michele Romano
3' di lettura
«Immagino una Fondazione aperta e sempre più parte integrante di una rete territoriale, che ritengo essere determinante per realizzare interventi e raggiungere obiettivi in favore della collettività maceratese». Guarda avanti Francesco Sabatucci Frisciotti Stendardi, da meno di un mese alla guida della Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata. Romano con origini nobiliari (la sua famiglia è di Sassoferrato, nell’Anconetano, ndr.), un passato da sportivo e da dirigente, che gli è valso la Stella di Bronzo del Coni, amministratore dell'azienda agricola di famiglia, fa parte degli organi istituzionali della Fondazione dal 2001. Rappresenta la continuità di un'istituzione che è sempre stata un riferimento solido per la comunità provinciale, nonostante il fallimento di Banca Marche, della quale era uno dei principali azionisti, avvenuto nel 2015, che ha portato a una perdita patrimoniale di 200 milioni di euro e, contestualmente, ha visto venir meno la principale fonte di reddito dell’attività filantropica, alimentata principalmente dai dividendi distribuiti dalla banca. «Un passaggio doloroso e complesso» visto 8 anni dopo. Oggi, la Fondazione Carima può contare su un patrimonio netto di poco meno di 82 milioni e, solo nel 2022, ha deliberato circa 2 milioni di erogazioni, un terzo delle quali a beneficio di attività culturali e restanti due equamente divisi per interventi in campo sanitario e per progetti di volontariato, filantropia e beneficenza.
Presidente, come è stato possibile reggere al crack di Banca Marche?
Con una serie di scelte strategiche, tra cui un’accorta politica di efficientamento e di contenimento dei costi di struttura, che ha consentito un reale recupero della capacità erogativa e un rafforzamento della dotazione patrimoniale. Il patrimonio netto, infatti, superata la fase critica, è andato incontro dapprima a una stabilizzazione e poi a una successiva crescita. Un’azione che ha restituito una Fondazione strutturalmente più solida, anche se non paragonabile a quella ante crisi bancaria.
Cosa è cambiato nei programmi?
Gli ambiti di intervento sono rimasti pressoché i medesimi: sociale, sanità e beni culturali sono i tre settori in cui il nostro ente storicamente opera. La Fondazione si è però gradualmente trasformata da mera erogatrice di fondi a partner proattivo e propositivo che, promuovendo e rafforzando forme di collaborazione con altri soggetti sia pubblici che privati, oggi è in grado di attivare sinergie territoriali indirizzate a ottimizzare l'impatto delle risorse erogate, che non sono più solo di natura finanziaria ma anche umane, professionali e relazionali.
Nei primi 30 anni, sono stati impegnati 90 milioni per finanziare 3.000 tremila progetti…
Il valore di una Fondazione non si misura solo dalla quantità di risorse elargite, ma anche dalla modalità con cui vengono assegnate. Siamo stati capaci di cogliere i bisogni delle collettività locale e di intervenire con estrema efficienza e rapidità adattando gli interventi al repentino mutare dei contesti. Lo abbiamo fatto con prontezza, ad esempio all'indomani del sisma e intervenendo in occasione della crisi pandemica.
Il nuovo cda ha anche nuovi volti: che segnale è?
Nella sua composizione è stato allargato il novero delle professioni presenti per poter beneficiare di competenze e conoscenze complementari tra di loro. A livello strategico questo potrà essere di assoluta utilità per lo sviluppo di nuove linee di azione.
Cambierà il focus degli interventi?
Cultura, sanità e attenzione alle categorie sociali deboli rimarranno gli assi portanti dell'azione istituzionale dell'ente. Abbiamo però introdotto nuovi ambiti, per così dire più al passo coi tempi, come Protezione e qualità ambientale, che si lega a problematiche di grande attualità come il cambiamento climatico e lo sviluppo sostenibile.
Nel Maceratese operano due università: quali i rapporti con i due atenei?
Ottimi e di lunga data ormai. Negli anni sono stati partner di iniziative che la Fondazione ha promosso o che ha sostenuto. Da ultimo il Master interateneo di primo livello rivolto a giovani neolaureati e dipendenti pubblici, per fornire loro gli strumenti per gestire gli interventi connessi alla ricostruzione post-sismica e al PNRR/Fondo complementare, allo scopo di supportare le istituzioni locali nel grande sforzo amministrativo di monitoraggio e di rendicontazione che le regole d'ingaggio delle risorse straordinarie richiedono. La Fondazione è riuscita per la prima volta ad attivare un partenariato che coinvolge entrambi gli atenei.
Come saranno i prossimi 30 anni?
L'attenzione alle esigenze del territorio rimarrà altissima e si proseguirà sulla strada dell'ascolto, del dialogo e del confronto con i diversi attori istituzionali e sociali. Credo inoltre che verrà potenziata la funzione di soggetto incubatore di progetti ed erogatore di servizi, rispetto alla mera attività erogativa.
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