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Fondi di coesione: in 15 anni speso solo il 46% e i ministeri fanno peggio delle regioni

Quindici anni di storia: 206 miliardi tra risorse Ue e nazionali ripartiti in 1,7 milioni di progetti, solo un quarto dei quali è concluso. Lieve progresso nei pagamenti 2021

di Carmine Fotina

(Martin Bertrand / Hans Lucas via)

3' di lettura

Nell’epoca di target e milestones del Piano di ripresa e resilienza, obiettivi inderogabili da centrare per ottenere le risorse straordinarie negoziate con la Ue, non è proprio il caso di abbassare l’attenzione sull’altro grande forziere delle risorse europee: i fondi per la coesione. Ci pensa la nuova «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate», appena trasmessa dal governo al Parlamento, a rinfrescare le idee. La stima è di quelle ciclopiche: 14 anni di storia, i due cicli 2007-2013 e 2014-2020, che sommando anche i fondi nazionali, fanno 206,3 miliardi frammentati nella pletora di 1,7 milioni di progetti (1.7412.412 per la precisione).

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La Relazione, predisposta dal ministero del Sud guidato da Mara Carfagna, segnala che al 31 dicembre 2021 i pagamenti ammontavano a 94,4 miliardi vale a dire il 45,8%. Entro il 2023 ci sono da spendere oltre 30 miliardi della programmazione 2014-2020. Il ritardo è evidente, visto anche che tra poco si entrerà già nel vivo delle procedure di spesa per il nuovo Accordo 2021-2027, da 76 miliardi di cui 43 europei, su cui governo e Commissione Ue sono ai dettagli (si veda Il Sole-24 Ore del 10 giugno). Ma il Dipartimento politiche di coesione (Dpc), diretto da Ferdinando Ferrara, nella sua minuziosa ricostruzione offre delle chiavi di lettura da considerare. Una parte di questo dato viene giudicato «fisiologico in ragione dei tempi di attuazione degli interventi che distendono gli effetti contabili su diversi anni, oltre la scadenza di ciascun ciclo di riferimento». Un’altra parte - si riconosce però - «è dovuta a difficoltà attuative, che peraltro le politiche di coesione condividono con molte altre politiche di intervento in Italia anche per la forte caduta avvenuta nella dimensione degli organici delle amministrazioni pubbliche nel corso dell'ultimo ventennio e su cui nell'ultimo biennio ha fortemente inciso la pandemia che ha richiesto riprogrammazioni straordinarie». La tesi è dunque che nelle condizioni attuali la Pa continuerà a fare fatica e accumulare fondi su fondi non basta: «Le risorse finanziarie disponibili non sono da sole sufficienti» e molto del successo degli interventi, si sottolinea, dipende «dall’impostazione programmatica e celerità dell'attuazione.

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I ministeri fanno peggio

In valore assoluto il governo evidenzia un lieve, quasi impercettibile, progresso cioè un avanzamento dei pagamenti di 10 miliardi rispetto al 2020, anno in cui la spesa aggiuntiva era stata di 9 miliardi. Va anche tenuto conto che il calcolo include circa 14,4 miliardi di fondi React-Eu, di cui 9,5 per il Sud, assegnati in aggiunta al ciclo 2014-2020 solo recentemente, come riposta alla crisi pandemica. Dalla Relazione emerge poi la distanza tra risorse totali assegnate all’Italia (206,3 miliardi) e risorse effettivamente monitorate (170,9 miliardi), perché si sconta una cronica inefficienza delle amministrazioni nel caricare i dati sul sistema di monitoraggio. Ma soprattutto il documento, unitamente a un altro recente lavoro del Dpc, la «Prima relazione annuale sull’andamento dei Piani Sviluppo e Coesione», sfata un’interpretazione incrostatasi in tutti e questi anni come lo stereotipo per eccellenza della politica di coesione. Che, cioè, i ritardi siano da imputare tutti alle Regioni, e segnatamente alle Regioni del Sud. Ma nelle percentuali di spesa a fare peggio sono invece amministrazioni centrali e ministeri, titolari di programmi operativi nazionali (Pon). Se guardiamo ad esempio la programmazione Ue 2014-2020, la performance peggiore in termini di spesa certificata rispetto al programmato è quella di Pon Governance (18,4%), Pon Metro (19%), Pon Ricerca (20,7%), Pon Scuola (35,8%), Pon Inclusione (41,5%). Risultati inferiori praticamente a tutti i programmi a gestione regionale, i quali sia per il Mezzogiorno (che assorbe circa il 75% delle risorse) sia per il Centro-Nord superano il 40% e arrivano all’86% in Puglia, al 69% per la Lombardia, al 68% in Emilia.Romagna, al 61% in Campania. La lentezza ministeriale si fa ancora più evidente osservando i dati dei Piani sviluppo e coesione (fondi nazionali). Qui le amministrazioni centrali hanno speso finora solo l’8,9, a fronte del 18% delle Città metropolitane e del 46,7% di Regioni e Province autonome.

La pioggia di progetti

Pur nelle difficoltà di monitoraggio, esistono dati attendibili sull’andamento degli oltre 1,7 milioni di progetti. Il portale Open Coesione, coordinato dal Dpc, riporta che solo il 25% dei progetti risulta concluso, il 6% liquidato. Il 63% è ancora in corso e il 6% non è stato ancora avviato. Il 29% degli interventi riguarda trasporti e mobilità, per un valore complessivo di oltre 40 miliardi. Seguono competitività delle imprese con il 12%, l’ambiente all’11%, istruzione-formazione e inclusione sociale-salute entrambi all’8%, ricerca e innovazione al 7%, cultura e turismo al 6%, reti e servizi digitali al 4%, energia al 3%. Se si analizza la natura dell’investimento, i progetti infrastrutturali primeggiano largamente con 104 miliardi, quasi il doppio delle risorse impiegate per acquisto di beni e servizi. Circa 25 miliardi vanno a incentivi alle imprese e 8,7 miliardi sono classificati come contributi alle persone.

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