Fondi di venture capital pronti a fare shopping in Italia
di Lucilla Incorvati
5' di lettura
L’investimento su start up italiane da parte dei fondi di venture capital potrebbe intensificarsi. Tra le ultime operazioni c’è quella che ha visto protagonista brumbrum (primo e-commerce italiano di auto usate, a km 0 e a noleggio a lungo termine) che nelle scorse settimane ha chiuso un nuovo round di investimento da 20 milioni di euro e che ha visto lavorare insieme alcuni tra i principali fondi internazionali di venture capital, guidati da Accel, insieme a Bonsai Venture Capital, e.ventures e United Ventures. Fondata nel 2013 da Massimiliano Magrini e Paolo Gesess, United Ventures gestisce complessivamente 180 milioni di euro raccolti da investitori istituzionali italiani ed internazionali e ad oggi ha investito in oltre 20 società tecnologiche early stage. Con il suo primo fondo “UV1”, United Ventures ha investito in aziende come Moneyfarm, Cloud4WI, Musixmatch, Faceit, Loop AI e Mainstreaming e tra i suoi anchor investor ci sono investitori istituzionali come il Fondo Italiano d’Investimento, l’European Investment Fund, Banca Mediolanum, Banca Sella Holding, Banco BPM e Fondazione di Sardegna.
I fondi esteri
Ma a guardare con più attenzione alle start up italiane non ci sono infatti solo i fondi di matrice italiana. Ai 15 associati all’Aifi (Associazione Italiana Private Equity, Venture Capital e Private Debt) vale a dire Invitalia Ventures Sgr, Lazio Innova, Fondo Italiano di Investimento Sgr, Boost Heroes, Principia Sgr, Primomiglio Sgr, Innogest Sgr, Panakès partners, United Ventures, P101, Oltre Venture, Vertis, Indaco Venture Partners, Sofinnova, 360 Capital Partners se ne aggiungono almeno un’altra decina . E poi al mondo delle start up italiane guardano anche altre realtà come DigitalMagic, LVenture Italian Angel for Growth e HFarm Ventures (solo per citare alcuni attori del mercato) e alcuni fondi di Venture Capital stranieri (tra gli altri BiovedaCapital, Cyber Agent Ventures Japan, Eos Partners, GVACapital, Intellectual Venture).
Più prospettive con le misure del Governo
Quello delle start up italiane è un ecosistema destinato a svilupparsi alla luce delle numerose misure varate dal Governo . La legge di Bilancio ad esempio ha modificato la disciplina dei Pir (Piani individuali di risparmio) di cui sono in arrivo i decreti attuativi. Questa stabilisce che i gestori di fondi Pir Compliance, prodotti destinati ai piccoli investitori, devono investire almeno il 3,5% del totale patrimonio in start up, proprio tramite i fondi di venture capital. Uno stimolo all’economia reale in cui le imprese giovani ed innovative giocano sempre più un ruolo importante. Questa misura si unisce alle altre varate dal Governo al sostegno del venture capital: il supporto dei 110 milioni di euro (diluiti in sette anni) in capo al ministero dello Sviluppo Economico per alimentare il “Fondo di sostegno al venture capital” e l’aumento dal 30 al 40% delle detrazioni fiscali per i soggetti (persone fisiche e giuridiche) che entrano nel capitale di rischio delle imprese innovative.
Lo Stato, poi, potrà investire in maniera diretta o indiretta nei venture capital per sostenere lo sviluppo dell’ecosistema (Invitalia Ventures con relativa dote di 400 milioni di euro ora sotto la gestione di Cassa Depositi e Prestiti). Inoltre la destinazione a investimenti in fondi per il venture capital, per almeno il 15% delle entrate dello Stato derivanti da utili o dividendi delle società partecipate dal Tesoro, a partire dagli ultimi bilanci. Ne è convinto Massimiliano Magrini, co-fondatore di United Ventures secondo il quale costruire ecosistemi di aziende innovative grazie a strumenti ibridi pubblico/privati è una ottima opportunità per far compiere quel salto di qualità che consentirebbe all’Italia di allinearsi agli altri Paesi europei, rafforzando la potenzialità del tessuto delle imprese innovative.
Obiettivo 2019: un miliardo di investimenti
Quanto ad investimenti, almeno fino ad oggi, l’Italia a livello europeo è in fondo alla classifica e fatica a proporsi come hub per accogliere eventuali “transfughi” dalla Gran Bretagna nel post Brexit. Il 2018 si è concluso con operazioni sopra ai 500 milioni con un raddoppio rispetto ai 240 milioni del 2017. Un’evoluzione certamente positiva se si conta che fra il 2013 e il 2017 sono stati investiti nel complesso nelle startup italiane 422 euro milioni. Però va detto che nello stesso arco temporale in Germania e in Francia si superavano i 4 miliardi. Tuttavia per il 2019 le stime di Aifi sono per un nuovo raddoppio rispetto allo scorso anno: gli investimenti potrebbero raggiungere una cifra che potrebbe toccare il miliardo. Il Governo sta anche pensando a nuovi veicoli di investimento, le cosiddette Sis, beneficiarie di vantaggi fiscali, da costituire come Spa con capitale fino a 25 milioni raccolto presso investitori professionali o anche tramite i cosiddetti “business angel”. Se la proposta sarà approvata, la Sis avrà come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto in Pmi non quotate su mercati regolamentati. La Pmi in questione è definita sulla base dei requisiti del regolamento Ue (2017/1129), quindi si tratta di una società che in base all’ultimo bilancio soddisfa almeno due tra questi tre criteri: meno di 250 dipendenti, un totale dello stato patrimoniale al massimo di 43milioni e fatturato netto annuale non superiore a 50 milioni. Tuttavia, le Sis non potranno emettere obbligazioni.
Dove investono i fondi di venture capital italiani
I fondi italiani di venture capital investono per il 31,1% nell’ ICT, per il 14% nel medicale, per il 10,2% nelle biotecnologie, per il 7,3% nell’energia e ambiente e per il 6,7% nei servizi di consumo. La Lombardia con il 29,3% è l’area di maggiore attrattività per questi fondi, segue il Lazio con il 9,8%, Sardegna con l’8,5%, Emilia Romagna con 8,1% e Campania con il 7,6%. Il settore dei fondi di venture capital, fino ad oggi presidiato solo dal mondo degli istituzionali e dei clienti di fascia alta, potrebbe entrare anche nei radar dei piccoli investitori.
Le prospettive di rendimento
È comunque un dato di fatto che la ricaduta degli investimenti dei fondi di venture capital innesti un circolo virtuoso: ad ogni milione di euro investito in capitale di rischio è possibile ricondurre, secondo Aifi, 1,55milioni di euro investiti in capitale immobilizzato, 0,8 milioni di euro di valore aggiunto e ben 12 nuovi posti di lavoro. «L’Italia in questo momento è un ecosistema molto interessante perché rispetto a quanto avvenuto in altri paesi in Europa dove gli incentivi statali sono arrivati da anni c’è molto da fare e dove c’è una prospettiva di sviluppo reale – sottolinea Thomas Schneider, partner di Isomer Capital, un fondo di fondi che investe principalmente nel settore innovativo europeo tramite investimenti in fondi di venture capital locali e specializzati –. Monitoriamo oltre 500 fondi di venture capital e questo approccio ci dà una buona visione dei vari ecosistemi che esistono in Europa e soprattutto che fanno gli altri Stati per promuovere il venture capital (UK, Francia, Finlandia, Germania) nel loro paese – aggiunge Schneider –. Isomer è conosciuto oggi in Europa perché è uno dei primi fondi ad essere stato selezionato nel quadro del programma della Commissione europea VentureEU che vuole stimolare il settore del venture capital al livello europeo».
Come spiega il manager, oggi l’Italia non è solo nei radar dei fondi di venture capital italiani ma anche tanti fondi esteri che stanno investendo in start up italiane. «Il mondo del venture capital interessa gli investitori privati come family office e singoli imprenditori anche tramite holding di partecipazioni – conclude Schneider – che vogliono essere aggiornate su quali sono le società con le maggiori prospettive di successo nei prossimi anni. Spesso investire direttamente su questo universo è difficile per un privato perché le informazioni non sono facilmente reperibili. Il nostro obiettivo di rendimento è di circa il 10% annuo».
loading...