Formigoni condannato a 5 anni e 10 mesi. Già in carcere a Bollate
di Sara Monaci
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La difesa sperava non tanto in un’assoluzione, quanto in un rinvio alla Corte d’Appello, così da raggiungere a luglio il limite della prescrizione. Ma non c’è stato nulla da fare. Per l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, al potere al Pirellone per quasi 20 anni, si sono aperte le porte del carcere. Per lui infatti vale la norma “spazza corrotti”, che prevede per i reati contro la Pubblica amministrazione l’esecuzione delle pena senza deroghe (nemmeno quelle per l’età, pur avendo Formigoni compiuto 70 anni).
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Lo hanno deciso i giudici della Sesta sezione penale della Cassazione, condannandolo per corruzione a 5 anni e 10 mesi, con un leggero sconto di pena per prescrizione, nel processo Maugeri-San Raffaele. Respinti anche gli altri ricorsi dei coimputati. Il sostituto procuratore generale di Milano Antonio Lamanna ha quindi firmato l'ordine di esecuzione della pena per Formigoni. Il quale si è costituito spontaneamente nel carcere di Bollate. Gli avvocati Mario Brusa e Luigi Stortoni hanno presentato istanza di sospensione dell'ordine di esecuzione, chiedendo quindi - come ci si aspettava - che la pena venga scontata ai domiciliari. Deciderà la corte d’Appello.
Le accuse
Il pg della Cassazione Luigi Birritteri aveva parlato ieri, durante la requisitoria davanti alla Suprema Corte, di un «imponente baratto corruttivo» relativamente al crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Le inchieste, avviate dalla procura di Milano e dalla polizia giudiziaria della Gdf dal 2012, riguardano la distrazione di fondi pubblici per finanziare le strutture ospedaliere del San Raffaele e della Maugeri, rispettivamente per 30 e per 70 milioni. Il primo caso però è prescritto. La condanna arriva quindi solo per la Maugeri di Pavia.
La tesi della procura, confermata sia dal Tribunale di primo grado che dalla Corte d’Appello, è che Formigoni abbia arbitrariamente deciso di erogare denaro pubblico, dopo essere stato corrotto dai lobbisti Antonio Simone (ex assessore alla Sanità della Lombardia) e Pierangelo Daccò, suoi amici di vecchia data. In particolare era quest’ultimo a pagare le sue note vacanze sugli yacht.
La polizia giudiziaria di Milano aveva quantificato l’ammontare della corruzione, ovvero le utilità ricevute in circa 10 anni, in 8 milioni, poi ricalcolate dalla sentenza di primo grado in 6,5 milioni. Intanto Simone e Daccò hanno già patteggiato in appello lo scorso anno (4 anni e 8 mesi il primo, 2 anni e 7 mesi il secondo).
La distrazione di fondi, secondo l’impianto dell’accusa, è stata possibile grazie allo strumento, introdotto proprio da Formigoni, delle «funzioni non tariffabili», ovvero finanziamenti che ogni anno potevano essere erogati valutando volta per volta le iniziative dei singoli enti. Questo si traduceva in una sorta di mano libera sui conti, con delibere che potevano essere dirottate da una parte o dall’altra in modo abbastanza snello.
Le prove e la difesa
Le utilità ricevute da Formigoni erano fatte di regali, inviti, vacanze, non di denaro. Una delle prove principali dell’accusa, durante il dibattimento, è stato proprio il fatto che Formigoni di fatto utilizzasse poco o nulla il suo conto corrente: in 5 anni erano usciti poco più di 20mila euro. Una cifra inverosimile, sostenevano i procuratori di Milano. La difesa sottolinea invece che il “Celeste” viveva in una confraternita “Memores domini”, facendo quindi voto di castità e povertà. Tutti i beni venivano condivisi con gli altri conviventi e non ci sarebbe stata, ha detto lo stesso Formigoni, una diretta disponibilità di denaro attraverso i propri conti correnti. Formigoni è da sempre uomo di Comunione e liberazione.
Anche durante la difesa in Cassazione l’avvocato Franco Coppi ha ribadito che non sarebbe stato provato nessun legame tra le «presunte utilità e le operazioni in Regione». Invece, ad avviso del Pg, da parte di Formigoni c’è stato un «sistematico asservimento della funzione pubblica agli interessi della Maugeri, un baratto della funzione».
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