Forza Nuova: si deve, si può o non si può sciogliere? Ecco cosa dice la legge
Dopo l’assalto alla Cgil si discute dei provvedimenti da intraprendere contro il partito d’estrema destra. Ma quali possibilità hanno Governo e Parlamento?
di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani
I punti chiave
4' di lettura
Dopo l’assalto alla sede romana della Cgil e il tentativo di portare l’aggressione sino a Palazzo Chigi, in Parlamento sono state presentate mozioni che chiedono al Governo di intervenire nel modo più drastico e rapido nei confronti di un partito che si richiama al fascismo e non disdegna certo l’uso della violenza. E, a quanto si legge, l’esecutivo sta riflettendo seriamente su questa via. Sciogliere un movimento politico, anche il più antidemocratico, è sempre un trauma per la democrazia. Lo è ancora di più se un simile atto è frutto di un provvedimento del Governo.
Cosa dice la Costituzione
D’altra parte, la tolleranza verso gli intolleranti non significa remissività, assenza di reazione, quando vi è concreto pericolo per le istituzioni. La questione è davvero complicata ed è forse utile partire dalla Costituzione, dalle leggi e anche dalla storia repubblicana. La Carta prevede nella XII disposizione finale il divieto di «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Si tratta dell’unico limite di natura ideologica per quanto concerne la costituzione di un movimento politico, dentro un progetto di democrazia «aperta», che non richiede adesione ai propri valori, ma «lealtà di comportamento» nella vita pubblica, in una prospettiva di progressivo inserimento nel gioco democratico delle associazioni antisistema. Questa norma, di carattere eccezionale, consente di vietare le forze neofasciste che contemplino tra i loro obiettivi specifiche finalità antidemocratiche, proprie di quella esperienza storica, che si avvalgano del metodo della violenza fascista e che propugnino i principi di quel partito.
Due ipotesi di scioglimento
Sulla base di questo presupposto la Legge n. 645 del 1952, all’art. 3 (la famosa Legge Scelba) prevede due ipotesi di scioglimento e confisca dei beni. Anzitutto, di regola, è necessaria una sentenza che accerti la riorganizzazione del disciolto partito fascista, pronunciata la quale il ministro dell’interno, sentito il Consiglio dei ministri, dispone l’uno e l’altra con atto proprio. Una seconda ipotesi, e questa è l’eccezione, prevede che in casi straordinari di necessità e urgenza il Governo, se ricorrono le circostanze per ritenere che un’associazione o un movimento abbia dato luogo alla riorganizzazione del partito fascista, può con decreto legge ottenere il medesimo risultato. I casi di scioglimento sono stati rarissimi. Se ne ricordano solo due ed entrambi negli anni Settanta, in seguito a sentenze che avevano riconosciuto come prima Ordine Nuovo, poi Avanguardia Nazionale avessero le caratteristiche per essere ricondotti al divieto costituzionale.
La via (stretta) del decreto legge
Mai lo scioglimento è stato disposto dal Governo con decreto legge, opzione su cui si sta discutendo in queste ore. Quest’ultima ipotesi ha la propria ragion d’essere nella preservazione della salus rei publicae, nella tutela dello Stato da un pericolo concreto ed imminente determinato da un partito che ha finalità di sovversione delle istituzioni democratiche, da perseguire con metodi violenti. Il presupposto per un simile intervento è la scoperta di un vero e proprio attentato alla Costituzione, da sventare prima che sia troppo tardi. Si tratta, è chiaro, di una decisione politica, lo strumento del decreto legge non ammette incertezze sul punto. E, tuttavia, una simile presa di posizione impone solidissime basi fattuali. In alternativa, si possono attendere i tempi e le ponderate decisioni della magistratura. Da un lato nel punire i singoli fatti violenti, nonché eventuali reati associativi, qualora ne ricorressero gli elementi. Dall’altro nel valutare la sussistenza o meno, nell’opera dei movimenti resisi responsabili di tali azioni, di una «matrice» nera, cedendo al piacere della citazione, primo passo verso l’eventuale atto del ministro dell’interno.
Una decisione drammatica
Il terreno è molto scivoloso e soprattutto non abbiamo abbastanza elementi per valutare quale tipo di organizzazione in generale abbia Forza Nuova e quale ruolo abbia avuto nel pianificare e nel mettere in atto le violenze. Quel che possiamo dire, però, è che sul piano dei principi la decisione di sciogliere un partito è tra le più drammatiche. Essa infatti, se assunta, metterebbe in discussione quella scommessa di fondo del Costituente a favore di una democrazia aperta, che includa progressivamente le culture e le forze politiche ostili a essa. Inoltre, una simile presa di posizione manderebbe il segnale non rassicurante di un ordinamento che mostra i muscoli, e quando si mostrano i muscoli di solito significa che non si ha fiducia in altri e più civili metodi di risoluzione delle questioni.
Il rischio del «buco nell’acqua»
Sul piano concreto, poi, al di là del rischio di trasformare bulli nostalgici e violenti in martiri, lo scioglimento per decreto legge rischia di essere un «buco nell’acqua». Una simile disposizione poteva avere un senso per i vecchi partiti organizzati, che avevano strutture da smantellare e beni da aggredire. Non per strutture come queste dai pochi – anche se bellicosi – iscritti che si possono facilmente rigenerare in breve tempo sotto altre sigle. Insomma, forse non è un caso che in settant’anni l’art. 3 della legge Scelba sia stata applicato solo due volte, e mai direttamente dal Governo, in tempi certo più bui rispetto a oggi in termini di preoccupazione per la tenuta della democrazia. In questo senso, ci piace chiudere con l’ottimismo delle parole del presidente Mattarella che, al collega tedesco Steinmeir che chiedeva quale fosse il livello di allarme nel Paese, ha risposto: «Il turbamento è stato forte, la preoccupazione no».
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