Osservatorio Willis Towers Watson 2020

Fra emergenza e nuova normalità: così cambiano le politiche di remunerazione

Nel 2021 le aziende spenderanno in generale qualcosa di più rispetto a quanto stanziato per il 2020, tornando di fatto a valori e tendenze pre-Covid

di Gianni Rusconi

(Reuters)

4' di lettura

L'annuale appuntamento organizzato da Willis Towers Watson per discutere dell'evoluzione del settore Hr è stato fortemente caratterizzato dagli impatti della pandemia Covid 19 sul mondo del lavoro. E non poteva essere altrimenti. La due giorni di incontri, svoltasi completamente online, è stata comunque l'occasione per discutere dei risultati dello studio sulle politiche di retribuzione dei dipendenti attuate sia in Italia che nei principali Paesi europei. Studio che ha interessato circa 450 medie aziende appartenenti ai principali settori, con l'eccezione dei servizi finanziari.

Nel complesso sono state raccolte circa 150mila osservazioni, rappresentative di una popolazione con un'età media vicina ai 45 anni, con un'anzianità di servizio di circa 13 anni e nella metà dei casi appartenente alla fascia dei professional (la percentuale di manager coinvolta nell'indagine sfiora il 15%).

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Il primo dato che balza all'occhio è quello che testimonia, in linea generale, un aumento organico delle retribuzioni in Italia nel corso del 2020: gli stipendi sono infatti cresciuti del 2,4% ma solo per effetto degli adeguamenti previsti a livello contrattuale (tenendo in considerazione l'incidenza del tasso di inflazione, negativo dello 0,2%, l'incremento reale sale al 2,6%, un valore secondo solo a quello della Spagna). Il 70% delle aziende italiane, inoltre, ha incluso in automatico nel cedolino di marzo (in coincidenza con l'inizio del lockdown) gli adeguamenti di stipendio previsti per l'anno in corso.

Molto simile la situazione registrata nel resto dell'Europa Occidentale, dove gli aumenti effettivi nominali oscillano tra il 2% ed il 2,7%.Gli effetti della pandemia, in ogni caso, si stanno facendo sentire e in estrema sintesi si può dire che il Covid 19 abbia ridotto, in modo disomogeneo tra i vari Paesi europei, l'entità degli scatti retributivi inizialmente pianificati. Se il differenziale per l'Italia si ferma allo 0,1% (come per Irlanda, Spagna e Svizzera) e in Belgio sale invece allo 0,4%, l'incidenza maggiore interessa Germania e Regno Unito, nazioni con un mercato del lavoro più flessibile e con numero assoluto di lavoratori dipendenti più consistente: qui l'aumento degli stipendi ha registrato una frenata dello 0,3% rispetto a quanto preventivato inizialmente.

Commentando i dati in esclusiva per il Sole24ore.com, Rodolfo Monni, responsabile indagini retributive di Willis Towers Watson, parla non a caso di “un aumento fisiologico delle buste paga, dettato dall'anzianità dei dipendenti e da quanto previsto dai rispettivi contratti collettivi di lavoro, considerando anche che le politiche di retribuzione operate dalle aziende multinazionali tengono conto degli indicatori legati all'inflazione, e questi ultimi sono in Italia vicini allo zero”.

Il budget stanziato dalle imprese italiane pre Covid e quello effettivamente erogato non ha insomma riscontrato sostanziali differenze e solo alcuni comparti più penalizzati dalla pandemia, come l'automotive o l'Oil & Gas, si sono attivati per bloccare gli aumenti o per lo meno ritardarne l'esecuzione.

“Abbiamo rilevato - ha osservato in proposito l'esperto - una polarizzazione della crescita verso il 2% nei settori più impattati dalla crisi e verso il 3% in quelli che hanno risentito positivamente delle nuove dinamiche imposte dall'emergenza. Non abbiamo rilevato, in generale, un elemento di forte discontinuità e se negli anni scorsi le variabili più importanti sono stati i bonus concessi alla fascia alta del personale, quest'anno il loro valore è sceso del 5/10% rispetto ai livelli precedenti”.

Lo studio ha infine misurato l'allocazione del budget destinato al personale tra le varie funzioni aziendali. Le aree legate alla direzione vendite e al customer service (assistenza tecnica inclusa) attraggono circa un quattro delle retribuzioni complessive e il dato relativo al 2020 che le riguarda riflette quello del 2019, rimanendo significativo a prescindere dal Covid. E significativa è anche la percentuale, vicina al 25%, degli stipendi destinati alle funzioni relative alla supply chain/logistica, all'It e ai servizi di supporto alla produzione.

Cosa cambierà nel 2021? Secondo lo studio poco, anche se le aziende spenderanno in generale qualcosa di più rispetto a quanto è stato effettivamente stanziato per il 2020, tornando di fatto ai valori e alle tendenze pre-Covid. “Regno Unito e Germania – puntualizza Monni - hanno leggermente sforato i target 2020 e presentano margini di sviluppo superiori, anche in termini di numero di aziende che spenderanno di più per le buste paga”.

Per i due Paesi in questione, infatti, si stimano per l'anno prossimo aumenti nell'ordine del 3% e se Italia e Spagna vantano una percentuale di aziende che adotteranno qualche correttivo rispetto alla normale politica retributiva inferiore al 10%, la Gran Bretagna arriva a circa il 20%.

“Nella fase di new normal - conclude l'esperto di Willis Towers Watson – le sedi di molte aziende saranno ridimensionate, le modalità di lavoro saranno diverse e caratterizzate dalla forte prevalenza dello smart working e differenti saranno i modelli di interazione fra i team inter-funzionali. Tutto ciò avrà un impatto sui contratti collettivi nazionali di lavoro ma non è chiaro oggi in che misura e da quando. Cambierà inoltre l'offerta di servizi di welfare aziendale, che privilegeranno quelli di assistenza da remoto al dipendente: questo è un tema che gli Hr manager hanno già iniziato ad affrontare tempo e sarà ancora più marcata nell'immediato futuro, con una decisa spinta alla personalizzazione delle proposte”.

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