IL PROFILO

Franceschini, l’ex Dc che torna per la terza volta ai Beni culturali

L’ex segretario del Pd a luglio propose di aprire un dialogo con il M5S. Poi è stato tra i “pontieri” nella trattativa con i Cinque Stelle. Ora riprende il dicastero che aveva già guidato con Renzi e Gentiloni

di Riccardo Ferrazza

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3' di lettura

Dario Franceschini riprende da dove aveva interrotto: ministro dei Beni culturali, dicastero che aveva già guidato prima nel governo di Matteo Renzi, poi in quello di Paolo Gentiloni. È l’unico esponente del Pd entrato nell’esecutivo Conte bis che abbia avuto già incarichi di governo.

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Il suo esordio risale a venti anni fa: sottosegretario alla Presidenza del consiglio nel secondo esecutivo guidato da Massimo D’Alema (1999). Da allora non ha smesso di arricchire il proprio curriculum politico: il primo incarico gli fu rinnovato nel governo successivo, quello di Giuliano Amato, e dal 2001 è stato eletto ininterrottamente deputato.

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Negli anni successivi scala i vertici della Margherita, il partito nato dall’incontro dei popolari con Francesco Rutelli, dove ricopre l’incarico di coordinatore. Da lì compie il balzo verso la presidenza del gruppo parlamentare dell’Ulivo alla Camera.

Al momento della fondazione del Pd, Franceschini è il numero due di Walter Veltroni, con il quale compone il ticket che sfida Silvio Berlusconi alle politiche del 2008. Subentra a Veltroni quando l’ex sindaco di Roma si dimette. Nel 2013 il ritorno al Governo con Enrico Letta come ministro per i Rapporti con il Parlamento, poi il passaggio ai Beni culturali prima con Matteo Renzi, quindi confermato da Paolo Gentiloni. Ora il ritorno al ministero del Collegio romano con Conte.

Ma la storia politica di Franceschini parte da lontano: negli anni ’70 a Ferrara, la città dove è nato il 19 ottobre 1958. Figlio di un ex partigiano cattolico, Giorgio Annibale, deputato Dc nella seconda legislatura (1953-1958), si avvicina alla Democrazia cristiana ai tempi del liceo. Nel ’74, a sedici anni, fonda un gruppo di studenti centristi e di lì a poco diventa il responsabile provinciale dei giovani Dc. Sceglie da subito la collocazione nella sinistra democristiana e suo riferimento è Benigno Zaccagnini, l’unico segretario della Dc che prese parte alla Resistenza, scelto per recuperare consensi dopo la cocente sconfitta del referendum sul divorzio. Alla fine degli anni ’80 a Roma lavora alla Discussione, settimanale politico-culturale della Dc fondato da Alcide De Gasperi nel 1954.

La lunga esperienza permette a Franceschini di muoversi con grande abilità e in anticipo sugli eventi, contando anche sull’appoggio di una sua corrente nel Pd (Area dem che fa capo a lui e a P iero Fassino). Così a luglio, dopo l’elezione della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen con i voti di Pd e M5S fu proprio lui a proporre un’apertura al Movimento 5 Stelle per realizzare un “arco costituzionale” e isolare la Lega di Matteo Salvini. Una mossa che fece infuriare l’ex premier Matteo Renzi ma che in seguito è stato considerato il primo spiraglio per il dialogo che ha portato al governo giallo-rosso.

Una trattativa nella quale Franceschini, in asse con il segretario democratico Nicola Zingaretti, ha svolto il ruolo di “pontiere” con i pentastellati. Sua anche la mossa che ha sbloccato il negoziato: non prevedere alcun vicepremier per il governo Conte bis, carica alla quale aspirava il capo politico di M5S Luigi Di Maio.

Oltre alla politica Franceschini ha la passione per la scrittura. È autore di cinque romanzi: l’ultimo, “Disadorna a altre storie” (Nave di teseo), pubblicato nel 2017 quando era ministro dei Beni culturali. Dicastero dove ora tornerà.

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