“Il mondo che verrà” / 7

Frattali di comunità

La storia insegna che quando una civiltà è colpita da una catastrofe ciò che rinasce dal disastro è un mondo nuovo. Qualcosa del genere accadrà anche a noi. A cominciare da un diverso atteggiamento verso la conoscenza e dall’abbandono di quell’attitudine che Crawford Brough Macpherson chiamava “individualismo possessivo”

di Guido Tonelli

Galleria degli Uffizi, Firenze, 2011. «Una restauratrice pulisce il vetro della Nascita di Venere di Botticelli come se quel capolavoro appartenesse davvero alla nostra quotidianità, polvere compresa. Rivisto oggi, quel gesto ci spinge a pensare alle nostre città, all'arte che le abita tutte. Quando ripartiremo, dobbiamo soltanto uscire di casa. C'è tutta la bellezza di cui abbiamo bisogno», è la previsione di Mauro Galligani, autore della foto

3' di lettura

Quando una civiltà è colpita da una catastrofe, sia essa una grave pandemia o un lungo periodo di guerra, quello che risorge dal disastro è un mondo completamente nuovo. È avvenuto così per le grandi epidemie del passato. La peste di Giustiniano, che imperversò nell'impero bizantino nel 541 d.C., arrivando a uccidere 5mila persone al giorno nella città più ricca del pianeta, l'opulenta Costantinopoli, fu un fattore determinante nel provocare il crollo della civiltà urbana dell'epoca, passaggio decisivo dall'antichità al Medioevo.

L'Europa del Seicento, devastata dalla Guerra dei trent'anni, non fu più la stessa dopo i trattati di Westfalia che sancivano il dominio della Francia di Richelieu e Luigi XIV. Qualcosa del genere accadrà anche a noi. La pandemia di Covid-19 sta producendo una crisi sanitaria, economica e sociale, che ha investito il mondo intero; lo sconquasso avrà effetti dirompenti anche per gli equilibri politici più consolidati; il mondo che ne uscirà sarà radicalmente diverso da quello che ci siamo lasciati alle spalle da qualche settimana.

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Mi auguro anzitutto che ci sia una nuova consapevolezza, e un diverso atteggiamento, verso la conoscenza. Per troppo tempo gli allarmi degli scienziati sono rimasti inascoltati. I governi di molti Paesi hanno ridotto gli investimenti in ricerca medica di base e ovunque si sono fatti risparmi che hanno penalizzato gravemente i sistemi sanitari pubblici. Sono stati ignorati i rischi impliciti in un sistema di sviluppo che danneggia l'intero ecosistema e stravolge pericolosamente gli equilibri naturali fra specie viventi. Salvo poi ritrovarsi a combattere un virus che produce gli effetti più dirompenti sugli organismi indeboliti dall'inquinamento atmosferico o sofferenti di malattie cardiovascolari, spesso conseguenza di stili di vita disordinati e regimi alimentari squilibrati.

Conoscenza, educazione e ricerca sono gli strumenti migliori che abbiamo per costruire un futuro più solido. Esse vanno incoraggiate e finanziate sempre, in modo particolare nei momenti di crisi come l'attuale, perché da esse scaturiscono le soluzioni più innovative ai problemi che dovremo affrontare. L'intera economia va riconvertita a favore di forme di sviluppo sostenibile, che considerino innovazione e conoscenza come asse strategico. L'intervento dello Stato e delle risorse pubbliche in generale non dovrà più essere percepito come una gabbia che impedisce lo sviluppo delle forze produttive; al contrario dovrà costituire la cornice dentro la quale riorganizzare e ri-orientare le priorità della produzione e costruire forme di protezione per le fasce più deboli della popolazione.

Ma soprattutto, spero che questa esperienza planetaria di coinvolgimento in una tragedia immane convinca tutti ad abbandonare quell'attitudine che un autore canadese, Crawford Brough Macpherson, chiamava “individualismo possessivo”, intendendo «una concezione egocentrica dell'individuo portatore di ogni sorta di diritto e che si crede proprietario del mondo». Questo delirio di onnipotenza, che ha attraversato in profondità il nostro mondo, ha enormi responsabilità nella tragedia del presente. Il mio augurio è che si faccia tesoro di questo dolore lancinante, del lutto per le migliaia di morti che piangiamo, per abbandonare definitivamente questa follia.

L'individuo “re di se stesso” va in mille pezzi contro il muro che oggi ci isola e confina nelle nostre abitazioni. E nel momento della sofferenza si riscopre l'importanza di quell'organizzazione frattale di comunità nella quale ciascuno di noi è inserito e che, paradossalmente, ha acquistato una forza prepotente proprio dal momento in cui siamo stati separati dagli altri, segregati nelle nostre case. I cerchi concentrici della famiglia e degli amici si intrecciano con quelli della regione, della nazione, del continente fino ad abbracciare il mondo intero.

Ciascuno di noi sente di esser parte di un'entità collettiva rispetto alla quale avverte un imperativo categorico: sii responsabile, proteggi te stesso e i tuoi cari, abbi cura delle persone più fragili della comunità, sostieni chi si sacrifica e rischia la propria vita per salvare quella degli altri. Questa terribile esperienza di dolore e di tragedia, forse ci ha fatto riscoprire l'importanza della comunità umana e qualunque ricostruzione non potrà prescindere da questo. Se sapremo ri-costruire la società su basi nuove – innovazione, conoscenza, bene pubblico, appartenenza e rispetto della comunità – il mondo che lasceremo ai nostri nipoti potrebbe essere migliore di quello che abbiamo ormai alle nostre spalle.

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