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Freelance, la normativa penalizza anche i papà lavoratori autonomi

Da qualche mese congedi parentali di tre mesi per ciascun genitore non cedibili, più altri tre mesi in comune

di Silvia Pagliuca

3' di lettura

La maternità è (anche) una questione di diritti. Un piano su cui le lavoratrici autonome hanno ancora molto da recuperare. Partiamo dalla nascita: alle mamme freelance spettano – come alle dipendenti - cinque mesi di indennità di maternità, ma ai papà con partita Iva non è riconosciuto nulla. Neanche i dieci giorni retribuiti al 100% che spettano, invece, obbligatoriamente ai padri lavoratori dipendenti. E questa è una prima, importante, discriminazione a cui, a ben vedere, se ne aggiunge un’altra. «Attenzione - avverte Samanta Boni, parte del consiglio direttivo di Acta, l'associazione che riunisce il popolo delle partite Iva - quello della maternità è un diritto che la lavoratrice autonoma acquisisce solo un anno dopo rispetto all’avvio della sua attività. Dunque, a differenza di una dipendente che è immediatamente tutelata, qui l'indennità scatta solo dopo aver versato i primi contributi».

Congedi parentali

Cosa accade invece sul fronte dei congedi parentali? Le cose stanno, lentamente, migliorando. Da qualche mese, anche i genitori freelance hanno diritto a nove mesi complessivi, di cui tre non trasferibili per ciascun genitore più altri tre mesi per uno dei genitori, da fruirsi entro i primi 12 anni di vita del bambino o della bambina o dall'ingresso del minore in famiglia in caso di affidamento preadottivo o adozione. La retribuzione spettante, in questo caso, è del 30% rispetto a quella giornaliera. Anche questa misura, però, sembra difficilmente applicabile alle lavoratrici autonome.

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«Sono pochi i genitori freelance che scelgono di accedere ai congedi parentali perché è previsto l'obbligo di astensione dal lavoro» rileva Boni. Quindi, mentre con l'indennità di maternità si dà la possibilità alla lavoratrice autonoma di continuare a fatturare, con i congedi parentali non è così. Di conseguenza: lo strumento è altamente depotenziato e, specie per gli uomini, rischia di erodere ulteriormente la propensione a richiederlo. Acta, in ogni caso, suggerisce di non rinunciare al diritto e di pianificare il congedo nei periodi a minor intensità lavorativa, districandosi tra fatturazioni - effettive e previsionali - e gineprai burocratici. Con buona pace delle necessità reali delle famiglie.

Lo sportello delle co-manager

Una sperimentazione interessante in questo senso è quella messa in campo, già da qualche anno, dall'Agenzia per la Famiglia della Provincia Autonoma di Trento con lo sportello delle co-manager, gestito dall'Agenzia del Lavoro. Parliamo di un paniere da cui scegliere il o la manager che, dopo un percorso di certificazione delle competenze, potrà sostituire la mamma freelance, libera professionista o imprenditrice, durante il periodo di gravidanza, maternità o in fase di cura dei figli o delle figlie fino a 13 anni di età, svolgendo il lavoro al suo posto così da limitare il rischio in termini di business.

Ma i vulnus non sono finiti. Permane, infatti, una scarsa consapevolezza circa quali siano i diritti a cui le mamme lavoratrici autonome possono accedere. E qui il mea culpa è generalizzato. «Le prime a non essere aggiornate – afferma Boni – sono le istituzioni, a partire dagli sportelli Inps. Ma anche noi freelance dovremmo imparare a chiedere di più. Se non alziamo la mano, scompariamo. E lo facciamo proprio mentre il mondo del lavoro vira nella nostra direzione».

Sono cambiate le organizzazioni, sta cambiando – seppur faticosamente - la partecipazione delle donne al lavoro, la genitorialità stessa sta diventando più paritaria. «Anche per questo è fondamentale che la normativa italiana sia aggiornata e che non rafforzi ulteriormente le disparità, come avviene invece con una delle norme più recenti in materia che prevede un mese in più di congedo retribuito all'80% solo per le lavoratrici dipendenti. Autonome escluse» conclude la consigliera, riconoscendo come, di fatto, si sia ancora lontani da una piena universalizzazione dei diritti.

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