Frugali, il gioco di squadra che frena l’Europa
Governance, bilancio, aiuti: come in un gioco delle parti, ogni leader si è fatto carico di un diverso dossier per portare avanti l’agenda comune
di Michele Pignatelli
3' di lettura
Ad aprire le danze, tanto per cambiare, è stato venerdì 17 Mark Rutte. Al premier italiano Giuseppe Conte, che definiva incompatibile con i Trattati e impraticabile sul piano politico la sua proposta di governance – voto all’unanimità del Consiglio europeo sui piani nazionali per ottenere gli aiuti -, il primo ministro liberalconservatore olandese avrebbe replicato che «una situazione eccezionale richiede una solidarietà eccezionale, per la quale si possono trovare soluzioni straordinarie». E ha insistito poi, nel prosieguo del vertice, per un sostanziale diritto di veto e per una stretta condizionalità alle riforme dei fondi erogati ai Paesi.
Poi si è fatta avanti la Danimarca della premier socialdemocratica Mette Fredriksen, che ha sollecitato una riduzione del già ridimensionato budget europeo, il quadro finanziario 2021-2027, chiedendo di portarlo da 1074 miliardi (la cifra della proposta di mediazione presentata in apertura di vertice dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel) a 1050 miliardi di euro.
La sera stessa del 17 poi si è fatto sentire il cancelliere austriaco Sebastian Kurz (Partito popolare), con un tweet in cui ha ribadito la contrarietà di Vienna alla proposta di un Recovery Fund che prevedesse 500 miliardi di sussidi a fondo perduto. L’Austria, ha sottolineato il giovane ma già navigato leader, non vuole che si crei «un’Unione dei debiti a lungo termine. Vogliamo mostrare solidarietà, ma abbiamo anche in mente gli interessi dei contribuenti austriaci».
Un coro ben orchestrato
A completare il quadro è arrivata sabato 18 la Svezia del socialdemocratico Lofven, che ha chiesto di non andare oltre i 150 miliardi di sussidi nel Recovery Fund. Voci diverse e provenienti da famiglie politiche diverse, pronte però a comporre un coro ben affiatato: quello dei cosiddetti Paesi “frugali”, come appunto Olanda, Austria, Svezia e Danimarca furono soprannominate a febbraio – le ricadute del coronavirus erano ancora inimmaginabili – quando presero posizione per un’Unione europea capace di farsi bastare un budget con risorse limitate, senza chiedere troppo ai suoi contributori netti dopo l’uscita della Gran Bretagna.
L’agenda dei “frugali”
All’ultimo Consiglio europeo i frugali sono arrivati con un’agenda ben definita: taglio del Recovery Fund o riequilibrio della ripartizione tra aiuti e prestiti, ridimensionamento del bilancio, controllo sugli esborsi (o quantomeno condizionalità), difesa degli sconti (i cosiddetti “rebates”) di cui finora hanno beneficiato nei contributi al budget comunitario. Hanno saputo però distribuirsi abilmente i diversi dossier, in un gioco delle parti che si avvale all’occorrenza del supporto di altri Paesi, come la Finlandia, la cui premier Sanna Marin, sempre venerdì, si è espressa per un riequilibrio tra prestiti e aiuti («Sarebbe preferibile meno della metà in sovvenzioni»).
Il ruolo dell’Olanda
Si ritrova in questo anche la capacità, mostrata soprattutto dall’Olanda, di creare alleanze di scopo a geometria variabile, di cui è stata emblema negli ultimi due anni e mezzo la Nuova lega anseatica, la coalizione informale tra Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Estonia, Lettonia e Lituania che ha influenzato e in parte indirizzato – in un certo senso frenandole - le riforme dell’Eurozona, imponendo la sua idea di Europa del dopo Brexit, contraria ai trasferimenti di competenze, poco incline ad allentare il rigore di bilancio, strenuamente in difesa del libero mercato.
È una capacità a cui si aggiunge anche la conoscenza delle dinamiche e dei processi negoziali europei - il premier olandese Rutte è il leader Ue con più esperienza e “anzianità” insieme ad Angela Merkel – che aiuta nelle lunghe maratone dei summit tra i leader. E che spiega forse perché Paesi come i frugali, con un Pil che – come è stato rilevato- non raggiunge neppure il 15% di quello Ue, riescano spesso a farsi sentire più di Italia e Spagna e persino a tener testa al ritrovato asse franco-tedesco.
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