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Fuga in Canton Ticino, così le imprese italiane perdono i profili tecnici

Le differenze salariali acuiscono le difficoltà nel trattenere gli addettiGrassi (Confindustria): «Serve una fiscalità premiale per le zone di confine»

di Luca Orlando

 In Canton Ticino gli stipendi sono molto più alti rispetto all’italia: è in vigore il salario minimo (19,3 euro all’ora)

4' di lettura

S

alario minimo: 19,3 euro all’ora. Già partendo da qui, da un livello più che doppio rispetto a quello, peraltro solo in discussione, in Italia, si capisce perché il Canton Ticino per le aziende di confine dell’area nord di Varese rappresenti un incubo costante.

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Alle difficoltà generali nel reperimento di figure tecniche, comuni a tutto il territorio nazionale, qui si aggiunge infatti la concorrenza elvetica sugli stipendi, che rende enormemente conveniente la vita del frontaliere: stipendio svizzero e costo della vita italiano.

«Le aziende sono molto preoccupate - spiega il presidente di Confindustria Varese Roberto Grassi - perché parliamo di differenze salariali importanti, in un rapporto almeno uno a due. Il cuneo fiscale rappresenta uno dei problemi: erogando uno stipendio pari a 100, il costo per l’impresa in Svizzera è 129, in Italia quasi 190».

Vantaggi che nel tempo hanno fatto lievitare la massa di persone che ogni giorno attraversa il confine due volte, per recarsi al lavoro e poi rientrare a casa la sera: bacino stimato in 31.800 persone nel 2002 e più che raddoppiato a quasi 80mila unità ora. «Persone che in qualche caso vorrebbero magari rientrare al 100% qui - spiega il Chief Operating Officer di Monteferro Andrea Visconti - ma che non trovano convenienza nel farlo».

L’azienda, 125 addetti in Italia, 350 in Europa, attiva nella componentistica per ascensori, è alla ricerca da tempo di quattro profili tecnici ma quando a sedersi al tavolo è un frontaliere l’esito del colloquio è quasi sempre negativo.

«Proviamo naturalmente a fare uno sforzo aggiuntivo nell’offerta - aggiunge Visconti - ma difficilmente riusciamo a convincere le persone. Anche perché, al di là del gap di stipendio, anche il Fisco in Svizzera è meno pesante».

Il nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri, che comunque varrà solo per i nuovi contratti e a partire dal 2024, risolve il problema solo in parte. Sottoponendo alle aliquote italiane i redditi incassati in Svizzera (lasciando una no tax area di 10mila euro), riequilibrio che limita ma non elimina le differenze in termini di convenienza: dagli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il salario nominale medio in Italia è di 2292 euro, quello svizzero di quasi 8mila.

«L’accordo raggiunto riduce il gap - commenta Grassi - ma certo non è un elemento risolutivo. Sarebbe giusto prevedere per queste nostre aree di confine una fiscalità agevolata e pensare magari ad un percorso per accedere a risorse comunitarie ad hoc. Nel frattempo, dobbiamo lavorare su ciò che controlliamo, puntando ad esempio sul miglioramento delle infrastrutture: se per andare in alcuni punti della provincia impieghi un’ora e mezza, è chiaro che l’attrattività dell’area ne risente».

Nodo atavico, a cui si aggiunge tuttavia un delta di retribuzione non indifferente. «Se un operaio qui è assunto a 1500 euro - ci spiega la titolare di un’agenzia di lavoro temporaneo dell’area - mentre in Svizzera offrono 3mila franchi, la scelta è scontata».

Sul territorio si prova a reagire utilizzando strumenti diversi.

Una soluzione per ovviare alla cronica difficoltà di reperimento di personale Ict è quella adottata dalla varesina Elmec, big locale della trasformazione digitale. Che per la prima volta nella sua storia ha deciso di dare il via ad un ciclo di assunzioni “full remote”, persone di aree geograficamente lontane (e dunque distanti anche dalle “sirene” elvetiche) a cui non sarà richiesto di trasferirsi ma che potranno continuare a mantenere la propria residenza lavorando in modalità remota.

Altra iniziativa è quella coordinata da Confindustria Varese insieme ad un gruppo di aziende, aprendo nel luinese un corso post-diploma IFTS (dunque di un anno) di specializzazione in robotica e automazione. Un modo per venire incontro alle esigenze dalle imprese del Nord della provincia aiutandole a trovare risorse per affrontare le transizioni tecnologiche in atto. Si parte con 12-15 giovani, che saranno da subito assunti nelle imprese e poi formati grazie all'iniziativa portata avanti insieme alla Fondazione ITS Incom e che vede tra i promotori anche la Spm.

«Invece di strapparci tra noi quei pochi che escono formati dalla scuola - spiega il presidente e ad Giovanni Berutti - proviamo a costruire qui le competenze necessarie. Per alcuni ruoli, esempio tornitori o fresatori la carenza è infinita e la concorrenza della Svizzera si fa sentire».

Tanto da spingere in passato la stessa azienda (loghi per auto e attrezzature sportive) a rinunciare ad effettuare direttamente alcune lavorazioni meccaniche. «Si faticava a programmare l’attività - spiega - perché l’esodo verso la Svizzera era continuo. Così ora abbiamo deciso di esternalizzare l’attività attivando fornitori esterni un poco più lontani dal confine, in modo da non correre di nuovo gli stessi rischi».

«I nostri stipendi sono aumentati - spiega Patrizia Ghiringhelli, titolare dell’omonima azienda di macchinari (rettificatrici) - ma il gap rispetto alla Svizzera non è ad ogni modo colmabile in questo modo. Con la modifica della tassazione una parte di questo divario si riduce ma non è comunque abbastanza». Ghiringhelli aderisce all’iniziativa dell’Its locale, un modo per provare a dare una prospettiva diversa sul territorio. «Qui a Luino i giovani che guardano ad una carriera tecnica difficilmente restano - spiega - perché da un lato c’è Milano, con il Politecnico, dall’altro la Svizzera, per andare a studiare dopo un diploma. E chi fa questa scelta, poi difficilmente torna».

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