collezionismo

«Furioso» per l’Ariosto

di Lina Bolzoni

 La Beinecke Library della Yale University: qui, negli anni 70, è finita gran parte della collezione Bonfiglioli

5' di lettura

Ci sono diversi modi di andare “à la chasse au bonheur”, alla caccia della felicità, alcuni inconsueti, che nascono dalle circostanze più strane. È capitato così al protagonista di questo libro, Renzo Bonfiglioli, nato nel 1904 e morto a soli 59 anni, figlio di una ricca famiglia ebraica di Ferrara, che l’11 giugno 1940 viene prelevato e mandato a Urbisaglia, nelle Marche, in un campo di prigionia per ebrei e dissidenti politici. Vi resterà 15 mesi e poi troverà rifugio, nell’infuriare della guerra e delle persecuzioni razziali, a Ginevra. Sorte ben più terribile tocca alla famiglia della moglie, Ida Ascoli Magrini: la madre, lo zio e sua moglie, la cui bella villa con giardino e campo da tennis avrebbe ispirato Bassani per il suo Giardino dei Finzi Contini, moriranno a Auschwitz.

Proprio nel campo di prigionia Bonfiglioli viene contagiato– è il caso di dirlo – dalla passione per i libri, per i libri rari e preziosi, insomma per il collezionismo librario. Chi gli trasmette la malattia è Bruno Pincherle, antifascista triestino, medico e appassionato studioso di Stendhal. È grazie a lui che Bonfiglioli scopre questa nuova forma di piacere, questa speciale “chasse au bonheur” che consiste nel tenere finalmente nelle mani un esemplare di cui si è andati in caccia. Non mancavano i problemi, in questo senso: a Pincherle sequestrano le opere di Shakespeare perché «era uno straniero appartenente a nazione nemica», ma le condizioni di vita non erano troppo dure, ed era possibile consultare i cataloghi, mantenere i contatti con i librai, e festeggiare eventi speciali: «fu un giorno di festa per lui, e per me,– ricorda sempre Pincherle – quello in cui gli arrivò un esemplare unico de i Promessi Sposi impresso in marocchino rosso e arricchito da una sua dedica alla nipote Luisa e da un ritrattino a matita tracciato da Massimo d' Azeglio». Glielo aveva procurato un giovane libraio antiquario, Alberto Vigevani, che proprio tra il 40 e il ’41 iniziava la sua attività e sarebbe diventato uno scrittore, un poeta, un editore acuto e raffinato.

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Quella che inizia a Urbisaglia è solo l’inizio di una lunga storia, che ora Giancarlo Petrella ricostruisce con grande competenza mista di passione in un libro che vede la luce grazie al concorso di vari enti, fra cui l’Unione Comunità ebraiche italiane e l’Associazione “Amici della Biblioteca Ariostea” di Ferrara. Nel palazzo di via Palestro, attraverso gli anni, Bonfiglioli raccoglie infatti una straordinaria collezione libraria, che corrisponde ad alcune precise linee culturali: l’amore per Ferrara estense, per la sua tradizione letteraria, e quindi in primo luogo per l’Ariosto, per la letteratura cavalleresca e per Niccolò Zoppino, importante editore di origine ferrarese, la cui vasta produzione libraria era caratterizzata da una forte presenza delle immagini e da un interesse per la letteratura di carattere popolare. «La sua – scrive Petrella – era una collezione improntata soprattutto al medio e piccolo formato, fatta di libri o plaquettes per lo più illustrati, che testimoniavano della cultura e dell’editoria rinascimentale rivolta non solo all’ élite ma anche al pubblico cosiddetto popolare».

L’Ariosto era l’eroe di questa splendida biblioteca e infatti il libro vuole essere anche un contributo alle celebrazioni del V centenario della prima edizione del poema. Pare che ci fossero tutte le prime edizioni dell’Orlando Furioso, la princeps del 1516, quella ancora più rara del 1521 e due esemplari dell’edizione definitiva del 1532; e ancora le edizioni delle opere minori, dal 500 all’800, traduzioni, adattamenti vari, anche in dialetto. Un luogo insomma ideale, una specie di utopia per chi è interessato ad Ariosto e alla tradizione cavalleresca, un luogo utopico che si è inesorabilmente dissolto. Come sottolinea infatti Petrella, questa come altre grandi collezioni librarie non hanno trovato eredi altrettanto innamorati dei libri come lo erano stati i loro fondatori, e quindi sono state disgregate e disperse. Questo libro è anche, a sua volta, una caccia a questi frammenti dispersi, un’appassionata e fortunata inchiesta alla ricerca della biblioteca perduta. Si sono rivelati preziosi in questo senso i cataloghi delle due mostre ariostesche organizzate a Reggio Emilia nel 1951 e nel 1974. «Sebbene celati dietro la didascalia “collezione privata” – scrive Petrella – provenivano infatti dalla Bonfiglioli oltre la metà degli esemplari esposti... Si può addirittura dire che la terza sezione della mostra del 1951, dedicata alla letteratura cavalleresca, fosse a tutti gli effetti un’esposizione privata, dal momento che la quasi totalità degli esemplari proveniva dalla biblioteca di via Palestro». Ma soprattutto il luogo più fruttuoso per rimettere idealmente i libri sui begli scaffali di legno della biblioteca Bonfiglioli si è rivelata la Beinecke Library della Università di Yale. Qui infatti negli anni 70 è finita gran parte della collezione Bonfiglioli e Petrella ha potuto ritrovarne le tracce ben al di là di quanto segnalato nei cataloghi grazie anche alla presenza (o alle tracce della rimozione) dell’ex libris, «che riproduce in oro su sfondo scuro l’elegante monogramma con iniziali speculari RB». A Yale tuttavia l’Ariosto è arrivato solo in parte: c’è arrivata l’edizione Zoppino del 1536, non la princeps,«custodita assieme ad altri volumi prediletti in un armadietto, una sorta di sancta sanctorum, situato dietro la scrivania; la copia aveva alcuni segni distintivi, «una rilegatura in marocchino rosso con tagli dorati, mutila dell’ultima carta bianca e di una delle prime (a2 o a3), rifatti in facsimile». Che fine ha fatto questa copia, questo «tulipano nero della bibliofilia»?

Dal 17 al 19 ottobre New York ha celebrato i 500 anni dalla pubblicazione del Furioso con un convegno di studi coordinato da Virginia Cox di New York University e da Monica Calabritto della City University of New York e con una serie di iniziative, patrocinati anche dal nostro Istituto di cultura e dal Dipartimento di italiano della Columbia University. Fra le iniziative, che hanno visto sempre la partecipazione di un folto pubblico, c’era la presentazione, alla Morgan Library, della copia della traduzione inglese del Furioso pubblicata da sir Harington nel 1591, con il frontespizio e le illustrazioni dipinte a mano, uno splendido libro che tenne compagnia alla sua sfortunata e dottissima proprietaria, Arabella Stuart, nella torre di Londra, dove fu imprigionata per un matrimonio non approvato dalla regina. Alla libreria antiquaria Rare Books si potevano inoltre ammirare alcune copie antiche del Furioso, fra cui la copia dell’edizione del 1516, una copia ritrovata e proveniente a quanto pare dalla collezione di Giuseppe Cavalieri. Come si vede, la chasse au bonheur continua e con essa gli interrogativi e i misteri.

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