Galleristi di padre in figlio, come cambia il mestiere
Le nuove leve valorizzano lavori storici e cercano nuovi autori. Il dialogo tra generazioni per conservare qualità di opere e relazioni
di Silvia Anna Barrilà e Marilena Pirrelli
I punti chiave
6' di lettura
Di padre in figlio difficile tramandare una professione come quella del gallerista. Eppure, sono tante le storie che hanno traghettato le gallerie dal 900 al secondo millennio. Da Giorgio Marconi a Giò, da Roberto Casamonti ai figli Ursula e Michele (Tornabuoni Arte), da Massimo Minini, che quest'anno celebra 50 anni di attività, alle figlie Francesca ed Alessandra, da Massimo Di Carlo a Filippo, pronipote d'arte (galleria dello Scudo), da Marilena Bonomo alle figlie Valentina e Alessandra, da Franco Calarota ad Alessia (Galleria d'Arte Maggiore), da Renato Cardi a Niccolò, da Bruno Lorenzelli senior a Matteo (galleristi da tre generazioni) e altri ancora. Anche all'estero incontriamo nuove generazioni di galleristi: Lucas Zwirner, figlio di David e nipote di Rudolf (che nel 1967 cofondò la prima fiera d'arte Art Cologne) ha lanciato la casa editrice David Zwirner Book, ampliando l'attività di famiglia, nata in Germania e affermatasi a New York e in altre tre città e a breve a Los Angeles. La Lisson Gallery, fondata da Nicholas nel 1967, è ora gestita dal figlio Alex.
Dall’Italia all'estero
In Italia sono tanti oggi i figli d'arte che hanno una propria galleria o lavorano in quella paterna. In alcuni casi, il figlio ha lavorato con il padre fin dall'inizio, acquisendo le competenze necessarie per gestire l'attività. In altri, i figli e le figlie continuano l'attività di famiglia aprendo spazi in città internazionali. Ursula e Michele Casamonti hanno lasciato la galleria di Firenze per intraprendere nuove esperienze rispettivamente a Londra e Parigi, sempre in continuità con la promozione dell'arte italiana tra gli anni '50 e '80 del secondo Novecento, e ora si apprestano ad aprire il nuovo spazio a Roma. A Torino Giovanni e Anna Pia Mazzoleni hanno fondato nel 1986 la galleria per evolvere la loro collezione e poi i figli Davide e Luigi hanno aperto la galleria di Londra proseguendo nella divulgazione dei protagonisti del 900 italiano. Anche i figli di Emilio Mazzoli a Modena (è stato il primo gallerista a esporre Basquiat in Italia) Mario e Augusto hanno aperto nel 2009 a Berlino una nuova galleria di arte emergente. Giò Marconi ha trasformato quello che era un cenacolo per gli artisti italiani in via Tadini nel palcoscenico milanese dell'arte internazionale. Nicolò Cardi dopo l'esperienza al fianco del padre a Milano ha fondato nel 2015 lo spazio a Londra. Per tutti l'arte italiana storicizzata del 900 è una bandiera da tenere alta in Italia e all'estero. Certamente, la continuità di una galleria può rappresentare un vantaggio competitivo, spesso lavorando anche agli archivi degli artisti, poiché la clientela fedele si aspetta di trovare gli stessi valori e lo stesso livello di qualità nell'arte esposta dopo il cambio di gestione.
Le nuove tecnologie
«Continuare, innovando» è la regola delle nuove generazioni in galleria. Per Filippo Di Carlo della Galleria dello Scudo di Verona, «rimane salda la strada aperta da mio padre Massimo, basata su rigore scientifico e serietà, sulla quale si innestano nuovi modi di lavorare». Certamente la tecnologia ha imposto un cambiamento. «Mi è capitato di vendere un quadro via Whatsapp» racconta Filippo Di Carlo; «con l'accelerazione sono cambiati rituali e tempistiche. Il mercato si è aperto, ci sono competitor più aggressivi, per restare nel giro, talvolta, devi forzare il protocollo». E le nuove generazioni del moderno hanno anche un'altra problematica non indifferente: la scarsità di beni. «Quando vendi un'opera devi essere sicuro di poterla sostituire con un'altra della stessa qualità: ne va dell'immagine della galleria».
Generazioni di artisti in dialogo
La chiamata alla contemporaneità spinge le nuove generazioni a creare nuove sinergie. Alessia Calarota di Galleria d'Arte Maggiore di Bologna ha portato avanti il dialogo tra storia e presente iniziato dal padre Franco, scomparso nel 2022. «Voglio rendere più glamour lo storico, più attrattivo il 900 italiano. I miei genitori hanno iniziato dialoghi tra artisti come Morandi e Spalletti, io proseguo con de Chirico e Vezzoli, o Morandi e Beuys. Da quando sono entrata nella galleria nel 2008 ho alimentato anche la comunicazione e l'apertura a nuovi mercati partecipando a fiere in Asia e Usa» dice. «Credo di avere una capacità di resilienza che in passato non era necessaria; ora devi prevedere il futuro».
Costruire nuovi rapporti
Portare la galleria in Asia è il compito affidato ai figli di Umberto Di Marino di Napoli, Enzo e Giosuè. Proprio in questi giorni la galleria è stata per la prima volta ad Art Basel Hong Kong. «I rapporti lì sono ancora tutti da costruire» spiega Giosuè, «per cui si è presentata l'occasione che lo facessimo noi». I fratelli Di Marino si sono lentamente innestati nel rapporto molto personale con gli artisti della galleria, fortemente legata alla figura paterna. Il cambiamento ha riguardato anche l'architettura informatica della galleria, il database delle opere e i social. «Le nuove generazioni dovrebbero prendere forza da ciò che è stato, mantenendo l'autenticità dei rapporti con artisti e professionisti, così come la cura rivolta al collezionista» sostiene Cecilia Gaburro, dal 2020 nella galleria nata nel 1995 a Verona per iniziativa del padre Giorgio e oggi anche a Milano, «ma anche guardare ai costanti cambiamenti da cui il settore dell'arte non è esente».
Competenze che cambiano
C'è chi sceglie di creare una nuova galleria, come Francesca e Alessandra Minini, che dal 2006 continuano il lavoro del padre Massimo con gli autori più giovani. «Mi sono avvicinata a nuovi artisti, ma sempre collaborando con quelli storici di mio padre» spiega Francesca. «Spesso è una richiesta che parte dagli stessi artisti, come è accaduto nel 2006 per il progetto di Jan De Cock (1976) e Daniel Buren (1938), nato da un'idea di Jan De Cock. Altre volte sono gli artisti più anziani che hanno voglia di relazionarsi con una figura giovane, per esempio, Dan Graham aveva questa curiosità». Oggi Francesca segue le fiere e i progetti museali internazionali, mentre il papà si focalizza sui progetti pubblici a Brescia. «Le scelte sono condivise; alle fiere spesso partecipiamo insieme, per cui si porta avanti il dialogo tra le generazioni. Per esempio, quest'anno a Miart ci saranno Ambra Castagnetti e Alice Ronchi accanto a Enzo Mari e Giulio Paolini».
E le differenze? «La vecchia generazione è più capillare nell'archivio» conclude Francesca Minini «Massimo ha un archivio incredibile su cui a maggio lavorerà il duo di designer Formafantasma per una mostra in galleria a Brescia. Inviti, articoli, lettere, inviti di altre gallerie, migliaia di libri. D'altro canto, io seguo molto di più la comunicazione e i social: social, magazine, quotidiani hanno bisogno di attenzione quotidiana. Ho una figura esterna che segue i social; a volte Massimo non capisce l'importanza di avere l'immagine giusta, rielaborata, da presentare al mondo dei social che ti segue costantemente. Ho anche rivoluzionato anche il magazzino. In 50 anni di attività ci si può immaginare che cosa abbiamo raccolto, e spesso la galleria diventa anche il deposito degli artisti. L'ho ordinato anche con la tecnologia e ho una figura di registrar, che porta avanti anche un controllo mensile dei lavori. Una volta mettevi via un'opera in magazzino e non la riaprivi più fino alla mostra successiva, ora le controlli». Un altro insegnamento che Francesca Minini ha ricevuto dal padre è quello di guardare sempre al di fuori, poiché è importante che gli artisti abbiano spazio al di fuori della galleria. «Purtroppo, in Italia è difficile lavorare con i musei, per cui lo facciamo con i privati. Anche i collezionisti sono cambiati: non basta più collezionare, ma vogliono dare spazio alle idee dell'artista sostenendo progetti di mostre. A questo proposito, durante Miart, inaugureremo un grande intervento all'esterno del Mudec di Flavio Favelli, curato da Marina Pugliese e Alessandro Oldani».
Antiquari globetrotter, italiani sfiduciati
Anche nell'antico e nell'antiquariato il passaggio generazionale ha rinnovato il modo di lavorare, ma non lo spirito di questa professione: la caccia alla riscoperta di un tesoro. Sono diverse le famiglie di antiquari ancora attive: a Parigi Nicolas e Alexis Kugel e sua figlia Laura rappresentano la quinta e sesta generazione di antiquari, la cui attività è iniziata in Russia all'inizio del XIX secolo con il collezionista di orologi Elie Kugel. Bernard Steiniz e sua moglie Simone, collezionisti oltre che galleristi, hanno passato le redini al figlio Benjamin. Dedicata alle arti da tre generazioni la famiglia Perrin è una delle autorità più acclamate nell'arte francese del XVIII secolo, Patrick figlio di Jacques è anche collezionista. Tanti gli italiani alla seconda e terza generazione come Tomaso Piva, Eleonora e Bruno Botticelli, che hanno ereditato dai genitori la galleria nata a Firenze nel 1959, Riccardo Bacarelli, gli antiquari Fiorenzo e Alessandro Cesati, e Carlo Orsi.
Nel Tefaf Executive Committee troviamo tre figli d'arte: Alessandra Di Castro, Georg Laue e Paul Smeets. Quest'ultimo figlio di Rob spiega: «Il mestiere è cambiato, papà quando ha iniziato nell'89 lavorava in un raggio di 100 km: comprava le opere in asta, le studiava per riattribuirle e le vendeva. Oggi lavoriamo su tutto il mondo con un'elevata velocità di aggiornamenti e scambi. Viaggiamo tanto per trovare oggetti e clienti». Stessa vita per Alessandra Di Castro, sorella del gallerista Alberto, cresciuta in una famiglia di antiquari: «Prima i clienti venivano in galleria, ora andiamo da loro: la vendita la devi costruire stringendo anche alleanze con mercanti internazionali per rintracciare le opere. Viaggiamo per conoscere curatori e musei e si lavora con grande anticipo sulle fiere, ma noi italiani ne torniamo sempre un po' sfiduciati». Perché? «La qualità della nostra ricerca di opere importanti è ricompensata con la notifica da parte delle Soprintendenze del MiC!»
loading...