Gamberale: «Tlc, con la corsa al telelavoro servirà la rete unica»
L’ex ad di Tim: «Il governo ha deciso e i manager sono quelli giusti: è ora di chiudere il dossier» - «Dalla fusione tra Telecom e Open Fiber più potere decisionale allo Stato »
di Antonella Olivieri
4' di lettura
Vito Gamberale, notoriamente, non è uno che le manda a dire. In questa intervista l’ingegnere abruzzese - che è stato alla guida della Telecom quando ancora si chiamava Sip, primo ad dell’operatore mobile Tim, promotore del fondo F2i e oggi presidente e cofondatore di Iter Capital partners che si occupa di investimenti infrastrutturali - spiega perché la rete unica s’ha da fare.
Nel decreto Cura Italia era spuntato un emendamento della Lega che impegnava il Governo a presentare un piano per la rete unica, poi di fatto è stato lasciato cadere. Può essere una soluzione se le due aziende non si mettono d’accordo?
Quali sono gli esempi al mondo di due reti di tlc? C’è stato un tentativo in Nuova Zelanda e un altro tentativo maldestro in Australia, poi fallito. La rete duplicata non esiste né in Europa, nè in alcun Paese asiatico avanzato, e sotto questo aspetto ci metto anche l’India, insieme alla Cina, Singapore, Hong Kong, Corea del Sud: nessuno ce l’ha. Negli Usa tre operatori si sono divisi gli Stati. Ma lì ci sono 300 milioni di abitanti, che mediamente quindi servono 100 milioni di abitanti a testa. Stiamo parlando di una cosa che non esiste al mondo. Vogliamo essere tolemaici perché non ci sta bene Copernico? I profeti del pluralismo della rete si attaccano ad argomenti “formali” relativi alla regolamentazione o al mercato. Ma io dico: al vertice di Telecom e Enel ci sono due manager veramente tra i migliori del Paese. Come recentemente ha scritto lei, il primo, giustamente, ha una visione di rete unica; il secondo, anch’esso giustamente, attende una proposta e la condivisione dello Stato, che è l’azionista.
E il Governo?
Anche il Governo è per la rete unica: i principali attori hanno una visione convergente. E poi, terrei separati i suddetti manager di vertice dei due gruppi da quelli coinvolti a livello di società operative. Spesso ci sono visioni personali che non coincidono necessariamente con quel che serve al Paese. Gli effetti della sciagurata modifica all’articolo quinto della Costituzione li vediamo oggi, a distanza di quasi vent’anni, con la Babele sanitaria. Non vorrei assistere anche in questo campo alla replica dello scempio del passaggio da amministrazione centrale a pluralità di soggetti, dove poi ognuno interpreta a modo suo.
Lei dice che c’è una visione convergente tra i principali attori della vicenda. Ma allora perché, finora, non si sono messi d’accordo per una soluzione?
C’è un problema di governance, di trasparenza della rete rispetto al mercato. Ma è risolvibile. In questi casi chi ha la maggioranza non sempre deve avere potere decisionale assoluto. Si possono anche costituire società locali, come Metroweb, per esempio, che è la rete in fibra di Milano. Si può stare in minoranza col diritto a ricomprare la quota più avanti. Ma non voglio scendere nei dettagli – le soluzioni si trovano –: sarebbe come spiegare a uno chef come si cucina la pasta. Che la Terra girasse intorno a un fuoco l’avevano già detto Pitagora e i pitagorici nel 500 avanti Cristo, ma si è dovuto aspettare duemila anni prima che fosse affermata questa verità.
Speriamo di cavarcela in tempi più rapidi. Intanto, cosa ci sta insegnando questa situazione surreale dove tutti siamo appesi a un filo per comunicare da casa?
Dopo la guerra il mondo ha “scoperto” l’automobile, adesso il mondo ha scoperto il telelavoro. Siamo tutti connessi: c'è bisogno di capacità.
Ha senso, a questo proposito, togliere la rete a Telecom? Molti guardano al modello Terna.
No, non ha senso. Sulla rete Terna passa l’elettrone, che non cambia nello spazio e nel tempo. Nelle reti dell’acqua passa sempre la stessa molecola; così pure nelle reti del gas. Ma sulla rete di tlc passa “intelligenza” che deve sempre essere aggiornata. Non è la stessa cosa.
C’è comunque il nodo del controllo, che non tutti sono disposti a concedere all’incumbent.
Con un sistema di governance adeguato si può anche mantenere la maggioranza azionaria e indicare un ad indipendente. Questo non è un problema, anzi è una straordinaria occasione per far sì che lo Stato rientri nel capitale di Telecom.
Nel capitale di Telecom, con quasi il 10%, c’è già la Cdp che ha anche il 50% di Open Fiber.
Con il conferimento della rete di Open Fiber lo Stato può tornare a ridare a Telecom stabilità e visione strategica che in vent’anni, dalla privatizzazione, non ha più avuto e un azionariato stabile e focalizzato. Ma la Cdp deve attivarla lo Stato.
Quindi, andava nella giusta direzione l’emendamento della Lega che impegnava il Governo a intervenire “anche con la convergenza delle reti esistenti”?
L’emendamento della Lega era corretto sul piano teorico. Forse era improprio inserirlo nel decreto Cura Italia. Su questa proposta sono d’accordo.
Si afferma che il settore delle telecomunicazioni è strategico per il Paese, ma poi tutti gli operatori sono sotto il controllo estero. La stessa Telecom ha un azionariato estero – Vivendi ha quasi il 24% e in un recente passato ha persino dichiarato direzione e coordinamento sul gruppo, il fondo Elliott esprime la maggioranza del consiglio - mentre Cdp finora è stata un socio passivo.
Io credo che il conferimento di Open Fiber rafforzerebbe patrimonialmente Telecom e allo stesso tempo darebbe spazio a un soggetto istituzionale come Cdp. Sono certo che a quel punto finirebbero i giochi su Telecom, perché Telecom è stata la più profanata delle grandi aziende italiane.
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