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Gancia, le nove domande sul rapimento che ha cambiato la storia delle Brigate rosse

Lauro Azzolini nuovo indagato della procura di Torino- Chi è l’uomo misterioso presente nel conflitto a fuoco dove morirono Mara Cagol e il carabiniere Giovanni D’Alfonso?

di Luca Benecchi

Rapimento Gancia: Cascina Bel Vedere di Arzanello.il corpo di Margherita Cagol la compagna di Curcio rimasta uccisa nel conflitto a fuoco con i carabinieri il giorno della liberazione di Vallerino Gancia. (Ansa)

7' di lettura

Una svolta che arriva dopo quasi cinquant’anni. Erano i primi giorni del giugno 1975 e l'industriale Vittorio Vallerino Gancia veniva sequestrato dalle Br. Oggi per quel rapimento spunta il nome di un secondo indagato. Le novità investigative di queste ultime settimane riportano indietro l’orologio della storia, illuminando capitoli che meritano quindi una profonda rilettura. Secondo i magistrati potrebbe essere Lauro Azzolini, ex capo della colonna milanese delle Brigate Rosse, l’uomo misterioso che si diede alla fuga sulle colline vicino ad Acqui Terme dopo lo scontro a fuoco di Cascina Spiotta, dove persero la vita l'appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e la terrorista Mara Cagol, allora moglie del capo delle Br Renato Curcio.

I pm di Torino Emilio Gatti, Ciro Santoriello e Diana De Martino, sostituto procuratore presso la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, stanno dunque cercando di riscrivere la trama di quel rapimento. Un mese fa gli stessi giudici avevano indagato proprio Curcio, ritenendo che non potesse non sapere di quell'azione criminale. La sua risposta fu che voleva giustizia per Mara Cagol.

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Ma perché questo passaggio è così importante? Perché questa storia segna un cambio di passo per le Brigate rosse, che scelsero per la prima volta di finanziarsi a spese di una delle più grandi famiglie della tradizione vinicola piemontese. Gli eventi, tuttavia, non si svolsero esattamente come programmato dai terroristi, innescando così una serie di effetti imprevedibili che arrivano fino a giorni nostri. Il primo di questi effetti, evidente già in quei mesi, fu che questo fallimento portò all'azzeramento di quel gruppo dirigente e a una definitiva accelerazione del terrorismo verso la strategia militare che condusse poi al rapimento Moro.

La riapertura dell’inchiesta

«Quando Bruno D’Alfonso, figlio di Giovanni, mi illustrò tutta la vicenda piena ancora oggi di grandi punti interrogativi, ci siamo messi ad analizzare tutta la documentazione processuale che era intercorsa fino all'anno scorso, ma soprattutto a riesaminare tutte le perizie che erano state allegate nei vari processi svolti». Così l’avvocato Sergio Favretto racconta il percorso che ha portato alla richiesta di riapertura del processo sul rapimento Gancia. Un lavoro che ha avuto come obiettivo «quello di giungere ad una ricostruzione puntuale delle responsabilità del conflitto a fuoco e della dinamica dei fatti, con l’individuazione soprattutto del brigatista che, pur lanciando bombe e sparando sull'aia della Cascina Spiotta a tutt'oggi, è sconosciuto».

La storia e la testimonianza di Bruno D’Alfonso, che al tempo dei fatti aveva poco più di dieci anni e viveva in Abruzzo, è raccontata nel podcast del Sole 24 ore della serie “Vie di uscita”, nell'episodio dal titolo: Chi ha ucciso mio padre. Il podcast è disponibile sul sito IlSole24ore.com e su tutte le piattaforme digitali.

L’esposto di Bruno D'Alfonso e dell’avvocato Sergio Favretto per la riapertura dell’indagine è datato novembre 2021. Nell’udienza davanti al gip del 9 maggio prossimo, sarà dunque vagliata la posizione di Lauro Azzolini. L’ex brigatista risulta indagato perché, sull'originale del memoriale anonimo ritrovato nel covo delle Brigate rosse di via Maderno dove si spiegano i fatti di quel giorno, il Ris di Parma ha individuato per ben undici volte le sue impronte. In questi mesi sono stati condotti diversi interrogatori, alle indagini ha collaborato anche il Ros. In realtà, sulla presenza di Azzolini e dell'altro terrorista Angelo Basone a Cascina Spiotta, la procura di Alessandria aveva già aperto un fascicolo istruttorio, poi chiuso senza nessun procedimento. Quel fascicolo però non si trova più. Secondo alcuni potrebbe essere andato perduto durante l'alluvione che colpì anche il palazzo di giustizia di Alessandria nel 1994. L’avvocato di Azzolini, Davide Steccanella, ha sottolineato che non ha nulla da temere. «Tocca al giudice - ha aggiunto - autorizzare o meno l'inchiesta visto che Azzolini è già stato prosciolto in passato dalle accuse».

Il sequestro che cambiò la storia delle Brigate rosse

Quel rapimento, il primo delle Brigate rosse a scopo di estorsione, è anche uno snodo fondamentale nella storia del terrorismo. Dopo la morte di Mara Cagol e l’arresto di Renato Curcio, avvenuto pochi mesi dopo in via Maderno a Milano, si realizzò una profonda inversione identitaria del gruppo armato. La nuova leadership di Mario Moretti portò alla vittoria dell'ala militare su quella ideologica. L’intensificarsi dei rapporti internazionali con gruppi paramilitari stranieri anticipò la tragica scelta della sfida finale allo Stato con il rapimento di Aldo Moro avvenuto solo tre anni più tardi.Tutto si svolse molto velocemente, quasi troppo velocemente, tra il quattro e il cinque giugno 1975.

In poche ore il rapimento a Canelli di Vallarino Gancia, la decisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa di censire tutti i cascinali sospetti del Basso Piemonte e il giorno dopo il blitz quasi a colpo sicuro. Un intervento dei Carabinieri di Acqui Terme che avvenne deciso in modo autonomo senza il via libera del generale. Così una 127 Fiat con quattro Carabinieri a bordo salì verso Melazzo direzione Spiotta. Dove successe il finimondo.

Tornando per un attimo al giorno prima, verso le tre del pomeriggio, Vittorio Vallarino Gancia viene fatto salire da uomini armati su un furgoncino mentre si recava in azienda e portato via. Sull’identità degli autori del sequestro inizia a indagare Dalla Chiesa. Poco dopo il rapimento, una Fiat 124 si scontra con un’altra vettura: l’autista scende e cerca di risolvere la questione offrendo una somma di denaro per riparare al danno. Qualcosa non quadra. L’auto risulterà rubata. Il fermato è Massimo Maraschi, 22 anni, militante delle Brigate rosse che si dichiara prigioniero politico. Maraschi sarà la sola persona condannata in tutta questa vicenda.

La mattina del cinque giugno, verso le dieci e mezza, la Fiat 127 risaliva dunque le colline con una direzione ben precisa. A bordo il tenente Umberto Rocca, il maresciallo maggiore Rosario Cattafi e gli appuntati Giovanni D'Alfonso e Pietro Barberis. Un’ora dopo si trovano già sulla stradina che porta alla cascina Spiotta. I quattro militari vedono due auto parcheggiate e capiscono. Ma invece di fermare il sopralluogo e chiedere rinforzi, bussano alla porta.

All’interno ci sono Mara Cagol e un altro brigatista dall'identità mai rivelata. Vittorio Vallarino Gancia è rinchiuso in un deposito sotterraneo dove ha passato la notte. Secondo la versione dei Carabinieri, dopo aver bussato più volte alla porta, Rocca e Cattafi vedono un uomo aprire e, dopo qualche istante, lanciare una bomba nella loro direzione.

L’esplosione li investe in pieno: il primo resta gravemente ferito all'occhio e al braccio sinistro; il secondo rimane ferito dalle schegge, ma riesce a mettere in salvo entrambi. Dopo il lancio di una seconda bomba, la Cagol e l’altro brigatista escono allo scoperto e raggiungono le due vetture parcheggiate a pochi metri di distanza. Sono secondi fatali: l’appuntato Giovanni D'Alfonso fa fuoco sulla coppia, ma viene raggiunto da una raffica di mitra che lo centra dalla testa all'addome.

La fuga in macchina dei due brigatisti s’interrompe all'entrata della cascina dove a sbarrargli la strada c'è la volante dei Carabinieri e l'appuntato Barberis. Sempre Secondo la testimonianza dei Carabinieri, poco prima, con le mani alzate, sembra che sia la donna che l'uomo avessero manifestato l'intenzione di arrendersi. Ma in realtà sarebbe seguito il tentativo di assassinare il carabiniere rimasto illeso con il lancio di una bomba a mano. Gettandosi a terra, il militare riusciva a evitare di essere colpito uccidendo la donna.

Secondo questa ricostruzione, il terzo colpo (quello mortale) ai danni della Cagol lo avrebbe quindi esploso Barberis mentre l’altro brigatista sarebbe riuscito a scappare nei boschi e a mettersi in salvo. Ma sui fatti non c’è certezza assoluta.

Una lunga lista di misteri e interrogativi: nove domande chiave

Da questo momento emergono le incognite e gli interrogativi che sono venuti grazie al lavoro di esame e di analisi della documentazione fatta da Bruno D'Alfonso e dai giornalisti Simona Folegnani e Berardo Lupacchini che hanno scritto il libro “Brigate rosse, l'invisibile” edito da Falsopiano.

1- Innanzitutto c’è il memoriale del brigatista senza nome rinvenuto nel covo di via Maderno dopo l’arresto di Curcio. Qui la versione sulla sparatoria è diversa da quella dei Carabinieri. Nel dattiloscritto infatti si dice che Mara Cagol sarebbe tornata indietro per finire Giovanni D’Alfonso. Il carabiniere era a terra perché ferito alla spalla. La terrorista gli avrebbe sparato alla testa. Un colpo ravvicinato. Dagli accertamenti sul corpo della donna è emerso invece che non ha mai sparato con la pistola.

2- Perché allora questa versione dei fatti è stata fornita a Renato Curcio? Chi ha sparato effettivamente a Giovanni D’Alfonso: è stata veramente Mara Cagol oppure il brigatista fuggito?

3- Che fine ha fatto la pistola cecoslovacca che venne rinvenuta sul tavolo in cucina della cascina Spiotta ma non fu mai periziata e non ritorna nella documentazione processuale?

4- Che ruolo hanno effettivamente svolto i due carabinieri che sono sopraggiunti con la pattuglia di rinforzo durante il conflitto a fuoco? Perché non sono mai stati interpellati in termini processuali? È stato Barberis a sparare alla Cagol o i due colleghi sopraggiunti?

5- Che fine ha fatto la valigia ventiquattro ore con tutta la documentazione che Mara Cagol aveva con sé quando uscì dalla cascina?

6- Sul tetto della cascina c'era una grande antenna radio e nessuno dei vicini si era mai accorto del posizionamento di questa antenna radio?

7- A Spiotta era operativa una radio ricetrasmittente sulle lunghezze d’onda dei carabinieri e della polizia?

8- Che fine hanno fatto i giornali che Mara Cagol molto probabilmente acquistò la mattina del cinque giugno ad Acqui Terme e riportò nella cascina?

9- Nessuno ha poi mai interrogato alcune vicine di casa che erano solite vedere la Cagol e il postino che spesso portava buste e pacchi ai brigatisti.

Sono tutti interrogativi che adesso possono essere posti, perché in termini processuali queste cose non sono mai emerse. Nove domande che ora attendono risposta. Mara Cagol uccisa e Renato Curcio in carcere. Per le Brigate rosse Cascina Spiotta è l'inizio di una nuova tragica storia.

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