Gandhi, una nuova biografia nella Giornata Onu per la non-violenza
La dottrina gandhiana intreccia perfettamente la non-violenza (ahimsa) con la democrazia, nella convinzione profonda che bisogna sempre opporsi all’ingiustizia
di Piero Fornara
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Approvata alcuni anni fa dall’Onu per la ricorrenza della nascita di Gandhi, il 2 ottobre, la Giornata internazionale della non-violenza intende diffondere il messaggio di una cultura di pace e di tolleranza ed è fonte di ispirazione dei movimenti non violenti in tutto il mondo. Questa giornata rappresenta anche un’occasione per commemorare la vita e il pensiero di Gandhi, quasi una pausa simbolica dalla guerra di logoramento in Ucraina, che continua da più di un anno e mezzo. Putin e Lavrov dicono di essere disposti a negoziare, ma senza cessate-il-fuoco (pensando forse al possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca); Zelensky vuole da Biden mezzi più potenti per la controffensiva, non ancora decollata (sapendo che, senza le nuove armi, perderebbe).
In coincidenza con l’anniversario della nascita di Gandhi le edizioni Mimesis pubblicano il volume “Gandhi - Una vita per la non-violenza e la democrazia” (pagg. 202, euro 18). Lo ha scritto Simonetta Casci, già docente di Storia dell’Asia del Sud nelle università di Bologna e di Pavia e visiting professor presso la Jamia Millia Islamia a New Delhi. Nel libro l’autrice sottolinea come la dottrina di Gandhi incarni perfettamente l’intreccio fra non-violenza e democrazia. Si ripercorrono le tappe significative della vita dell’intellettuale e uomo politico indiano, analizzando l’originalità del suo pensiero, che rivalutò concetti filosofici e politici attraverso la critica alla tradizione indiana e alla modernità occidentale. Attento all’agire pragmatico, grazie al forte carisma Gandhi riuscì a promuovere il suo pensiero al fine di raggiungere quanti erano ancora esclusi dalla sfera pubblica.
Nelle prime pagine il libro descrive il periodo che portò Gandhi dalla nativa Porbandar (odierno Stato federato del Gujarat, nell’India occidentale) a Londra e quindi in Sud Africa. Attraverso una visione etica della politica, Gandhi sviluppò la dottrina del satyagraha (fermezza della verità), come innovativo metodo di lotta non-violenta, che elaborava i concetti di
La marcia del 1930 contro la tassa sul sale (su cui vigeva il monopolio britannico), sfidò la legittimità del governo coloniale dimostrando la superiorità morale degli indiani in lotta. Sebbene sospesa da Gandhi, la marcia del sale fu un successo e favorì la risoluzione per introdurre i diritti fondamentali dell’individuo nella futura Costituzione indiana, presentata da Gandhi insieme a Nehru di fronte al Congresso e votata all’unanimità. Definito Mahatma (maha grande, atma anima) dal poeta e filosofo Tagore (Nobel della Letteratura nel 1913), Gandhi accettò poco volentieri l’appellativo. Non amava essere definito Mahatma e, con ironia, egli diceva che non era il caso di parlare dei suoi “seguaci”, perché era già tanto se lui riusciva a seguire se stesso.
L’autosufficienza del villaggio e il cotone khadi
Gandhi riteneva impossibile raggiungere l’indipendenza, se non venivano risolte le piaghe sociali dell’India. Oltre a superare il contrasto fra indù e musulmani, secondo lui era essenziale sia l’abolizione formale degli “intoccabili” (gli individui di infima condizione sociale, situati al di fuori delle quattro caste tradizionali, che svolgevano mestieri ritenuti impuri) sia il raggiungimento dell’autosufficienza del villaggio. Attraverso la campagna per la diffusione del cotone khadi (filato e tessuto a mano), Gandhi intendeva contrastare la distruzione della produzione tessile indiana da parte dell’industria tessile britannica, trasformando il cotone indigeno in un simbolo nazionale e promuovendolo quale strumento per la rinascita dei villaggi e la democratizzazione della società indiana. «Trasmise il suo messaggio – leggiamo nel libro - grazie a una straordinaria abilità performativa: non solo ridusse il suo abbigliamento a un dhoti (il tradizionale indumento maschile indiano, lungo e annodato intorno alla vita) e a uno scialle, entrambi in cotone khadi, ma dedicò ogni giorno una parte del suo tempo alla filatura, un’attività svolta intenzionalmente anche durante i suoi spostamenti e le sessioni plenarie del Congresso, con il filatoio a mano (charkha)».
L’India indipendente con la guida di Nehru
Il primo ministro Jawaharlal Nehru, che Gandhi aveva sempre considerato suo successore, guidò l’India indipendente fino al 1964. Si trattò di un processo non facile, dato che l’India ex britannica era stremata dalla spartizione in due Stati, dal problema dei profughi, dalla tensione con il Pakistan (a maggioranza musulmana) culminata nello scontro armato fra i due nuovi Stati per il controllo del Kashmir. A ciò si aggiungeva l’endemica povertà della nazione, la cui popolazione aveva un’aspettativa di vita al di sotto dei quarant’anni. Nehru promosse un energico programma di sviluppo economico, puntando a un relativo centralismo, favorendo l’industrializzazione e discostandosi dall’India dei villaggi sognata da Gandhi.
Lo sviluppo rurale passò in seconda linea, ma non fu abbandonato.Se Gandhi favorì l’entrata delle donne nell’attività pubblica, Nehru si batté per l’emancipazione femminile con l’introduzione dello Hindu Code (riforma del diritto di famiglia), dopo un duro confronto con i conservatori indù, che si opponevano al divorzio e volevano escludere dall’eredità le figlie sposate. Lo Hindu Code fu inserito nel programma del partito del Congresso e Nehru - ottenuto il mandato grazie alla vittoria elettorale del 1952 – riuscì a tradurlo in legge, sebbene in forma più moderata. In politica estera Nehru accentuò l’importanza del coordinamento fra gli Stati del Terzo mondo, senza la subordinazione imposta dal colonialismo; però ai paesi afro-asiatici rivolse anche l’invito a stabilire rapporti di amicizia con gli Stati Uniti e con l’Europa («un piccolo continente così litigioso»).
Durante il recente vertice di Nuova Delhi i leader del G20 hanno visitato il memoriale di Gandhi, accolti dal premier Narendra Modi che ha regalato loro una sciarpa tradizionale di seta e deposto una corona di fiori in memoria del padre della nazione indiana. Nell’India di oggi la figura di Gandhi potrebbe quasi apparire anacronistica ma, come sostenne Nehru in un discorso pronunciato il 30 gennaio 1948, poche ore dopo il suo assassinio, Gandhi rimane un faro luminoso per l’India e anche per il mondo.
L’insegnamento di Borsa: capire l’Oriente
Fra i ringraziamenti contenuti nella premessa al volume, vorrei citarne qui uno in particolare (e sottoscriverlo): «Come tutti quanti gli studiosi della mia generazione che si sono interessati all’Asia – scrive Simonetta Casci - ho un enorme debito intellettuale nei confronti di Giorgio Borsa, un vero Maestro, mai dimenticato e insostituibile». Docente di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale nelle università di Milano e di Pavia, decano degli orientalisti italiani, di carattere riservato e dall’eleganza anglosassone, era stimato dagli studenti anche nel clima post-Sessantotto. Borsa, questa la sua intuizione storiografica, colloca la formazione del mondo moderno nei Paesi di antica civiltà dell’Asia orientale – in particolare India, Cina e Giappone – in una prospettiva “copernicana” della storia invece che nell’ottica “tolemaica” dell’eurocentrismo. Un singolare caso editoriale fu la sua biografia di Gandhi, uscita nel 1942 e ripubblicata dallo stesso editore Bompiani nel 1983 con il titolo «Gandhi – Un uomo di pace che divenne la fiera anima di un popolo». Nel 1996, già docente emerito, ricevette la laurea honoris causa dalla Hindu University di Benares (Varanasi), la città santa indiana in riva al Gange. Il professor Borsa è scomparso nel 2002, a novant’anni.
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