Gas, il paradosso italiano: paghiamo di più per avere un’aria meno pulita
Il trasporto del gas da Mosca si traduce in un aumento dei consumi del 30% e quindi, oltre ai maggiori costi, c’è anche maggior inquinamento
di Giancarlo Mazzuca
2' di lettura
Cornuti e mazziati. Ci avevano detto in tutte le salse, o almeno così avevamo capito, che bloccare l'attività dei nostri impianti di gas naturale in Adriatico – ancora una ventina d'anni fa venivano prodotti in Italia fino a 21 miliardi di metri cubi standard - sarebbe stata una salutare vittoria sul fronte della lotta all'inquinamento. Pensavamo che, così facendo, avremmo favorito notevolmente tutte le nostre coste, quelle romagnole in primis.
Tanti discorsi al vento perché oggi scopriamo che dover importare il gas dalla Russia, a parte tutte le altre controindicazioni - sperando sempre che Mosca, pagata in rubli o no, non decida di chiuderci i rubinetti -, causa ancora inquinamento e persino maggiore rispetto a quello che si registrava quando le nostre piattaforme erano in piena attività. Al riguardo, ho interpellato Franco Nanni, presidente dell'associazione che riunisce gli operatori off-shore di Ravenna, che è stato molto chiaro: il trasporto del gas da Mosca si traduce in un aumento dei consumi del 30% (il doppio di quanto succede per il gas algerino) e quindi, oltre ai maggiori costi, c'è anche maggior inquinamento.
Sborsiamo insomma più soldi per avere un'aria meno pulita. Il mio interlocutore non ha dubbi sui risvolti negativi di quelle scelte: «Chi ha bloccato le attività di estrazione di idrocarburi in Italia ha creato un grosso danno per tutti noi e soprattutto per la nostra industria considerando che solo quelle aziende che sono forti consumatrici di energia elettrica e di gas danno lavoro a circa un milione di persone».
Il problema è che, al di là di tutti i discorsi su embargo-sì embargo-no, oggi non possiamo fare a meno del gas di Putin: dalla Russia arrivano 27 miliardi di metri cubi all'anno, circa il 40% del totale dei nostri consumi che toccano i 75 miliardi. Come faremo ad andare avanti se le sanzioni decretate al Cremlino si riveleranno sempre più un ”boomerang” per i Paesi consumatori? Sarebbe proprio il caso di dire che si stava meglio quando si stava peggio. E, in tal senso, l'esempio dei nostri impianti in Adriatico è significativo anche perché, quando erano in piena attività, davano lavoro a una decina di migliaia di persone.
Adesso siamo sotto la spada di Damocle russa e, per poter voltare pagina, tornando a produrre almeno 15 miliardi di metri cubi standard, ci vorranno dai tre ai cinque anni anche se Draghi è apparso più ottimista fissando la ripresa della produzione alla seconda metà del 2024. Ma se anche il traguardo di ripartire entro due anni fosse davvero raggiungibile, come potremo superare, nel frattempo, l'emergenza? Draghi e Di Maio si sono subito mossi per cercare di trovare fonti alternative al gas russo, bussando alla porta di alcuni Paesi produttori dell'Africa. Ma la vera boccata d'ossigeno verrà proprio dal ripristino delle nostre piattaforme. È il caso degli impianti al largo di Ravenna: una piccola cosa, certo, eppur si muove…
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