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Gas, record senza fine: prezzo quintuplicato da inizio anno

L’anno termico si apre con un nuovo crollo dei flussi dalla Russia. L’Ucraina, sempre più isolata da Gazprom, invioca sanzioni da Usa e Ue. Intanto a Bruxelles si studiano strategie comuni per reagire al caro energia, che comincia a fermare le attività industriali

di Sissi Bellomo

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4' di lettura

Il gas inaugura l’anno termico con una puntata a 100 euro per Megawattora (MWh) in Europa, un prezzo mai visto nella storia e ormai quasi quintuplicato da inizio anno. Se si trattasse di petrolio sarebbero a conti fatti 190 dollari al barile: più del doppio dell’attuale quotazione del Brent, che peraltro non si è mai spinto così in alto (in termini nominali il record assoluto è 147,50 dollari, raggiunto a luglio 2008).

Ennesima impennata

Per il gas l’ennesima impennata – seguita da un parziale ritracciamento intorno a 97,7 €/MWh al Ttf olandese (Title Transfer Facility, mercato di riferimento per lo scambio del gas naturale tra i più grandi e liquidi dell’Europa continentale) – è avvenuta nella mattina di venerdì 1° ottobre, mentre le forniture russe all’Europa crollavano e mentre l’Ucraina si scagliava contro Mosca, accusandola di essere tornata a usare il gas come un’arma e invocando sanzioni dagli Usa e dall’Unione Europea.

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Le due vicende non sembrano essere collegate, se non da una coincidenza temporale. Ma hanno accentuato il nervosismo tra gli operatori, in una fase di crescenti tensioni sul mercato. L’inverno, stagione in cui il gas ci serve anche per riscaldare le nostre case, è ormai alle porte ma nel Vecchio continente gli stoccaggi sono pieni in media soltanto al 75% e rifornirsi sta diventando sempre più difficile, oltre che sempre più costoso.

Europa in allarme

Una situazione che sta facendo salire l’allarme in Europa, con diversi Governi – compreso quello italiano – che premono perché la Commissione Ue prenda in mano la situazione: tra le proposte sul tavolo, l’istituzione di una piattaforma comune per l’acquisto di gas naturale e la costituzione di riserve strategiche, come si è fatto con il petrolio dopo lo shock energetico dei primi anni ’70.

Inflazione ai massimi

L’inflazione nell’Eurozona è già balzata ai massimi da 13 anni e i rincari dell’energia stanno cominciando a frenare le attività industriali, non solo nella Gran Bretagna post Brexit. Dopo le fabbriche di fertilizzanti, anche qualche impianto metallurgico nella Ue ha iniziato a rallentare la produzione a causa del caro energia. E ora si stanno fermando anche molte coltivazioni in serra in Olanda, riferisce Bloomberg: il riscaldamento costa troppo e il Paese, forte esportatore di fiori e ortaggi cresciuti “indoor”, non è più una potenza del gas da quando ha fermato per rischio sismico il maxi giacimento di Groeningen.

Problema globale

A peggiorare la situazione è il fatto che lo shock energetico è ormai un problema globale, che mette i Paesi in competizione l’uno con l’altro per accaparrarsi forniture di combustibile, alimentando una spirale rialzista difficile da fermare.

In Cina – dove la crisi è esplosa in modo gravissimo, con blackout diffusi e blocchi dell’attività industriale – il premier Li Keqiang secondo la stampa locale ha ordinato di procurare combustibili «ad ogni costo»: un diktat che ha proiettato il prezzo del Gnl in Asia a nuovi record, vicino a 35 dollari Usa/MMBtu (Million British thermal units, pari a 28 metri cubi di gas naturale) sul mercato spot, valori ancora più elevati che in Europa (dove quindi continueremo a non attirare molti carichi).

Le nostre forniture via gasdotto intanto restano incerte, con nuove crisi che si aprono anche su fronti inaspettati. La rottura dei rapporti diplomatici col Marocco, ad esempio, ha indotto l’Algeria a sospendere l’utilizzo della pipeline Europa-Mahgreb (Empl): decisione che rischia di mettere in crisi gli approvvigionamenti di gas della Spagna, con possibili ripercussioni sull’offerta disponibile per altri Paesi (tra cui l’Italia).

La disputa tra Ucraina e Russia

Anche tra Ucraina e Russia la disputa riguarda l’utilizzo dei gasdotti: tema che si sperava archiviato con l’accordo mediato da Bruxelles nel dicembre 2019 e che invece si ripropone, in termini un po’ diversi ma con toni che ricordano quelli delle vecchie “guerre del gas”.

Kiev denuncia di essere stata ulteriormente isolata nella mappa dei rifornimenti europei, dopo che Gazprom ha siglato un contratto con l’Ungheria (in vigore da ieri) che la impegna fino al 2036 a consegnare a Budapest 4,5 miliardi di metri cubi l’anno di gas in parte via Serbia e in parte via Austria.

Non c’è una “chiusura dei rubinetti”, ma l’Ucraina diventa ancora più irrilevante come territorio di transito per il gas russo, salvo che per il passaggio di 40 miliardi di metri cubi l’anno garantito (ma solo fino al 2024) dagli accordi del 2019.

Kiev ora potrebbe avere maggiori difficoltà anche nel rifornirsi di gas russo, che ufficialmente non importa più dal 2015 ma che in pratica ha sempre acquistato da Paesi confinanti, tra cui per l’appunto l’Ungheria.

Per l’Europa in generale la vicenda non altera un granché (almeno per il momento) le condizioni del mercato. Dalla Russia da mesi arriva poco gas, al di là dei volumi garantiti dai contratti. E a ottobre ne arriverà addirittura meno che a settembre.

Gazprom – impegnata a ricostituire gli stoccaggi in Russia e forse tuttora alle prese con qualche difficoltà produttiva – aveva prenotato capacità ridotte sui gasdotti per il mese che è appena cominciato. Dunque non stupisce, o non dovrebbe stupire, che i flussi ieri siano diminuiti. Ma la riduzione è stata troppo forte perché il mercato riuscisse a reagire con freddezza. Sulla linea Yamal-Europe (che non passa dall’Ucraina, bensì da Bielorussia, Polonia e Germania) c’è stato addirittura un crollo del 77% delle forniture rispetto a giovedì.

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