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Gas in ribasso, ma il rischio scioperi in Australia è scongiurato solo in parte

Il mercato accoglie con sollievo l’accordo sindacale nell’impianto Gnl di Woodside e il prezzo scivola sotto 32 euro/MWh al Ttf (-14%). La vertenza sindacale tuttavia non si è ancora risolta nei terminal di Chevron e sono possibili nuove impennate

di Sissi Bellomo

2' di lettura

Il rischio di un taglio alle esportazioni di gas dall’Australia – che ha provocato forti impennate dei prezzi anche in Europa – si è attenuato ma non è ancora scomparso del tutto. Le minacce di sciopero sono infatti rientrate solo alla Woodside, che gestisce il maxi impianto North West Shelf LNG, grazie a un accordo raggiunto tra i lavoratori e l’azienda, mentre negli impianti targati Chevron il braccio di ferro sui contratti prosegue, con esiti che si prospettano incerti.

Il mercato per ora guarda al bicchiere mezzo pieno: le quotazioni del gas per settembre al Ttf hanno concluso la seduta a 31,7 euro per Megawattora, in ribasso del 13,8%. In mattinata la discesa era stata addirittura superiore al 20%, un tonfo che non si verificava da marzo 2022, ma col passare delle ore è diventato chiaro che il rischio scioperi non si può ancora considerare scongiurato.

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L’assemblea dei lavoratori ha bocciato l’ultima offerta di Chevron e anche se le trattative proseguono è possibile che si verifichino forme più o meno drastiche di protesta negli impianti Gorgon e Wheatstone Lng, in Western Australia, con una capacità complessiva di 24,5 milioni di tonnellate l’anno, pari a circa il 5% della produzione globale di gas liquefatto.

«Il mercato non è ancora fuori pericolo – ha commentato Leo Kabouche, analista di Energy Aspects – È probabile che le oscillazioni dei prezzi continuino finché non ci sarà maggiore chiarezza sullo stato delle cose negli impianti gestiti da Chevron».

Non si possono insomma escludere nuove impennate, simili a quelle che si sono verificate all’inizio del mese, sulle prime avvisaglie di possibili scioperi nei terminal australiani: il 9 agosto il prezzo del gas al Ttf era addirittura balzato di oltre il 40% in un solo giorno, superando 43 €/MWh.

L’Europa non importa Gnl dalla lontanissima Australia, se non in rare occasioni. E il gas in questo momento non manca: gli stoccaggi Ue sono già pieni per oltre il 90%, con più di due mesi di anticipo sulla scadenza imposta da Bruxelles, mentre la domanda di combustibile rimane moderata, nonostante il caldo torrido (che tra l’altro ha costretto a fermare alcuni reattori nucleari in Francia).

Il nervosismo suscitato dalle vertenze sindacali australiane – per quanto forse eccessivo – non è però del tutto «irrazionale», come l’ha definito nei giorni scorsi la ceo di Woodside, Meg O’Neill. Con la perdita delle forniture di Gazprom l’Unione europea è diventata fortemente dipendente dal Gnl: l’anno scorso siamo stati addirittura i primi importatori al mondo. E la scarsità di contratti di lungo periodo ci espone in modo particolare ai capricci del mercato, comprese eventuali interruzioni dell’offerta dall’altro lato del pianeta.

Se l’Asia rimane a corto di Gnl australiano è possibile che provi a sostituirlo con carichi dagli Usa, i più flessibili nel cambiare destinazione. Ma così facendo entrerebbe in competizione con l’Europa: le metaniere andrebbero al miglior offerente.

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