Gas in Sicilia e Adriatico: ecco la mappa dei giacimenti dove si potrà estrarre
La contraddizione fra il decreto Bollette che vuole aumentare la produzione e il piano regolatore antitrivelle Pitesai. In testa il Canale di Sicilia
di Jacopo Giliberto
I punti chiave
5' di lettura
Due obiettivi in contraddizione.
Il piano per ridurre i costi energetici italiani, piano approvato venerdì 18 febbraio dal Consiglio dei ministri, dice di aumentare l’estrazione di metano dai giacimenti nazionali. Il decreto Bollette non dice i dettagli di quanto estrarre e dove, ma si sa già che punta ad almeno 2,2-2,5 miliardi di metri cubi l’anno in più con investimenti complessivi per 2 miliardi di euro, facendo perno soprattutto sui giacimenti del Canale di Sicilia.
Al tempo stesso e in direzione tenacemente opposta, il piano regolatore Pitesai sull’uso del sottosuolo, piano pubblicato una settimana prima dal ministero della Transizione ecologica, riduce l’estrazione dai giacimenti nazionali. Fra il nuovo decreto Bollette (estrarre di più) e il nuovo piano regolatore Pitesai (estrarre meno) si è formato un ossimoro, una negazione speculare e reciproca, che si completa per fortuna nel decreto Bollette con una forte semplificazione per le fonti rinnovabili d’energia, in modo da sbloccarne gli iter ostacolati dai mille no all’eolico e al solare e mettendo a disposizione dell’energia pulita anche i demani militari.
Con ogni probabilità sarà necessario introdurre deroghe al piano antitrivelle Pitesai.
Investimenti cancellati
Il Pitesai (sigla impronunciabile di un piano dal nome opaco: Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) fa scomparire ogni velleità sul giacimento Teodorico al largo di Goro, spegne le speranze sull’investimento da 250 milioni per il giacimento Vega B nel canale di Sicilia di fronte alla costa di Ragusa, delude chi spera in un ricorso potente ai nuovi giacimenti Argo e Cassiopea; svapora le speranze di chi auspicava grandi risorse sulle colline abruzzesi o di chi s’illudeva nei 30-40 miliardi di metri cubi di metano dell’Alto Adriatico al largo fra Veneto e Istria.
Se il Governo vuole conseguire un aumento di disponibilità di gas a basso prezzo da dare alle imprese energìvore con una gara del Gse, dovrà dare mano a una potente iniezione di deroghe e, come dice Gianni Bessi del Pd emiliano-romagnolo, «dovrà creare una cabina di regìa o un commissario».
Il decreto Bollette di venerdì 18 febbraio non rileva la visione strabica divergente ma prende atto dell’esistenza del nuovo arrivato Pitesai e a esso si adegua: il gas aggiuntivo si potrà estrarre dai giacimenti che «ricadono in tutto o in parte in aree considerate idonee nell’ambito del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee». Cioè si può aumentare l’estrazione di metano solamente là dove lo consente il Pitesai. Ovvero in pochi luoghi.
Il domandone: ma quanti giacimenti ci sono in Italia?
Secondo le stime degli ingegneri minerari e dei geologi, nel sottosuolo d’Italia sono nascosti (tra riserve certe e possibili) 1,8 miliardi di barili di petrolio e 350 miliardi di metri cubi di gas. La stima è di una decina di anni fa, prima che venisse vietato ogni nuovo studio del sottosuolo.
Altre grandi riserve, che non erano state conteggiate una decina d’anni fa, oggi sono previste sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna.
Il piano regolatore
Il piano regolatore Pitesai, pensato nel 2018, dimenticato per anni, disperso, ritrovato, e infine pubblicato a inizio febbraio, dice tre cose:
- stabilisce i criteri per definire dove si può e dove non si può cercare o sfruttare i nuovi giacimenti di gas,
- dice che i giacimenti già in attività possono continuare a lavorare anche se sono nelle zone vietate (ma in questo caso andando a esaurirsi),
- e dice che si può investire sul solo metano mentre il petrolio scordiamocelo.
Il progetto di nuove estrazioni del decreto Bollette dice invece come il Gse dovrà mettere in gara a basso prezzo il metano aggiuntivo dei giacimenti nazionali ma non dice dettagli su come e dove trovare quel gas.
I giacimenti salvabollette
Ecco gli obiettivi non scritti nel decreto Bollette di venerdì 18 febbraio.
Nel 2021 l’Italia ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas (-18,6%) e ha bruciato 76,1 miliardi di metri cubi (+7,2%). Sono lontani gli anni '90 e 2000 in cui si estraevano quasi 20 miliardi. Oggi i giacimenti sono lasciati deperire.
Quale l’obiettivo del Governo?
La speranza non esibita è mettere a disposizione dell’Italia almeno 2,2-2,5 miliardi di metri cubi l’anno, di cui
- l’80% estratti dal Canale di Sicilia (i nuovi giacimenti Argo e Cassiopea),
- il 15% spremendo le riserve ormai esauste dell’area che fa perno su Ravenna e al largo delle Marche, con un investimento stimabile sui 300 milioni,
- il 5% cercando nuovo gas sotto il fondale dello Ionio al largo di Crotone.
- Zero spaccato dalle riserve dell’Alto Adriatico, intoccabili per paura di cataclismi lagunari e sprofondamenti veneziani.
La compagnia più coinvolta è l’Eni; un ruolo da comprimari alla Shell, alla compagnia petrolifera emiliana Gas Plus, alla anglo-ellenica Energean. Marginale il contributo della Total, il cui gas del giacimento di Tempa Rossa è tutto riservato alla Regione Basilicata.
I giacimenti in difficoltà
La realtà si ostina a frenare. Le autorizzazioni per potenziare i giacimenti sfiatati e per riavviare quelli chiusi impiegheranno dai 10 mesi ai 3 anni, secondo i casi, mentre vanno ordinati macchinari, perforazioni, apparecchiature e si devono aprire i cantieri.
In altre parole il primo gas aggiuntivo si vedrà nel 2023.
A ciò si aggiunge il Pitesai. Per esempio, al piano regolatore antitrivelle è bastato immaginare che in futuro potrà essere istituita qualche area protetta e, presto fatto, viene messo un vincolo di lontananza minima di oltre 20 chilometri.
Salta il progetto dell’australiana Po Valley di realizzare una piattaforma petrolifera per sfruttare il giacimento Teodorico a 23 chilometri al largo di Goro e Volano. Sotto 1.800 metri di perforazione ci sono 900 milioni di metri cubi di metano purissimo al 99,2% con un piano di estrazione di 16 anni.
È in zona vietata, causa istituenda area marina protetta, il progetto della piattaforma Vega B della compagnia greco-inglese Energean che aveva rilevato le attività dell’Edison. Con 250 milioni di spesa l’Energean voleva estrarre 80 milioni di barili di petrolio a 25 chilometri a sud della costa ragusana.
È a rischio lo sviluppo pieno dei giacimenti da 10-12 miliardi di metri cubi di gas con Argo e Cassiopea nel Canale di Sicilia al largo di Agrigento, per i quali l’Eni ha appena ottenuto le autorizzazioni e programmava una spesa di 700 milioni. Il primo pozzo da perforare si troverebbe in zona consentita, ma una futura ipotetica area naturalistica metterebbe in area vietata tutte le altre attività necessarie per sviluppare il giacimento.
Fermi gran parte dei giacimenti su terra, come quelli in Abruzzo.
Pare uscire di scena il giacimento Gianna, al largo delle Marche, il quale potrebbe dare almeno 29 milioni di barili di bitume per asfaltare le strade con 200 milioni di investimento dell’Energean.
L’Alto Adriatico (e i croati)
In mezzo al golfo di Venezia, a metà fra l’Italia e l’Istria, c’è un grappolo di grandi giacimenti ad alta profondità che dal 1983 sono congelati dal lato italiano dell’Adriatico per paura che — come era successo nel dopoguerra estraendo acqua irrigua, industriale o metanifera dalle falde superficiali del Veneto e dell’Emilia — il suolo potesse sprofondare nella subsidenza.
Si stima che in mezzo al mare, sotto il fondale, possano esservi dai 30 ai 40 miliardi di metri cubi di gas; le ricerche con le tecnologie moderne potrebbero essere più precise ma ovviamente sono vietate.
Un metro di là dal confine che divide le acque italiane da quelle croate, la compagnia croata Ina ha le piattaforme del giacimento Izabela.
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