Gasdotto sabotato nel Baltico, prezzi del gas alle stelle
Gas più caro di oltre il 20% in due giorni. Alla guerra in Israele – che rischia di limitare le forniture di Gnl all’Europa – si aggiunge l’allarme per un sospetto attentato al gasdotto tra Finlandia ed Estonia. Helsinki ipotizza un «atto deliberato» e chiede appoggio alla Nato
di Sissi Bellomo
4' di lettura
Il gas si conferma l’epicentro delle tensioni sui mercati energetici. E i prezzi in Europa continuano a correre, in rialzo di oltre il 20% in due sedute al Ttf e ormai vicino alla soglia psicologica dei 50 euro per Megawattora. Un’impennata ancora più significativa se confrontata con la performance del petrolio.
Il Brent – dopo un rialzo del 4% lunedì 9 in reazione all’attacco di Hamas contro Israele – si è stabilizzato intorno a 88 dollari al barile, influenzato in apparenza più dal pessimismo sull’economia che dalla crescente instabilità sul fronte geopolitico. Del resto non ci sono pozzi petroliferi nell’area degli scontri, né si intravvedono minacce imminenti per le forniture.
Per il gas il quadro è ben diverso
Come se non bastassero la guerra in Ucraina e quella appena esplosa in Israele, ora c’è anche il sospetto di un nuovo misterioso sabotaggio di un gasdotto nel Mar Baltico, non lontano dai fondali dove nel settembre 2022 venne colpito il Nord Stream russo: un attentato i cui responsabili restano tuttora ignoti.
L’allarme stavolta riguarda il Balticconnector, pipeline sottomarina che collega Finlandia ed Estonia, messa fuori uso domenica 8 da una falla che costringerà a riparazioni impegnative (potrebbero servire «diversi mesi», ha anticipato Gasgrid, l’operatore della rete finlandese.
Helsinki martedì 10 ha confermato che si indaga sull’ipotesi di un «atto deliberato», che ha danneggiato non solo il gasdotto ma anche a un vicino cavo per le telecomunicazioni. «La Nato sta condividendo informazioni ed è pronta a sostenere gli alleati interessati», ha dichiarato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, con un messaggio su X, l’ex Twitter.
La Finlandia è entrata nella Nato appena sei mesi fa. Nel maggio 2022, una settimana dopo aver annunciato la richiesta di ammissione, si era vista tagliare del tutto le forniture da Gazprom: volumi irrilevanti, anche perché il Paese in generale ha consumi di gas molto ridotti. Anche per questo motivo la fermata del Balticconnector non dovrebbe avere un forte impatto (tanto meno a livello europeo).
L’infrastruttura, inaugurata appena tre anni fa, ha tuttavia un grande valore simbolico ed è cruciale per la flessibilità dei rifornimenti nell’area del Baltico, che in questo modo è riuscita a superare la dipendenza da Mosca. Attraverso questo gasdotto la Finlandia può attingere a scorte conservate in territorio lituano e l’Estonia riesce indirettamente a importare Gnl, facendoselo recapitare al nuovo terminal galleggiante di Inkoo, ormeggiato dallo scorso anno in acque finlandesi.
I depositi di gas europei, pieni al 95%, fanno tuttora sperare in un inverno tranquillo. Ma la sicurezza energetica del Vecchio continente dipende in gran parte «dall’integrità dei suoi gasdotti e delle infrastrutture per il Gnl», sottolinea Simone Tagliapietra, del think tank Bruegel. «Sabotaggi o interruzioni dell’offerta potrebbero avere gravi conseguenze».
Le incertezze su questo fronte stanno aumentando ogni giorno di più. E l’impennata dei prezzi riflette il crescente nervosismo degli operatori. Le scorte elevate non danno «alcuna garanzia di prezzi stabili» nella stagione invernale, ha avvertito anche un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), anticipando un alto rischio di volatilità sui mercati «soprattutto nel caso in cui l’inverno sia freddo». Le tensioni potrebbero accentuarsi se ci fosse «una ridotta disponibilità di Gnl via nave e un ulteriore calo delle consegne di gas russo».
La minaccia alle forniture in Europa
Anche la guerra in Israele rappresenta una concreta minaccia per le forniture di gas all’Europa. La fermata precauzionale del giacimento Tamar, in un tratto di mare troppo vicino alla Striscia di Gaza, solo in apparenza non ci riguarda: è vero che non importiamo direttamente combustibili dallo Stato ebraico, ma gran parte del Gnl “egiziano” – al quale la Ue vorrebbe affidarsi in misura crescente per recidere ogni legame con la Russia – in realtà è gas che viene solo liquefatto dal Cairo, nei terminal di Damietta e Idku, ma che è stato estratto in Israele.
Con la fermata di Tamar l’Egitto ha subito un taglio del 20% delle importazioni di gas israeliano: abbastanza da mettere in dubbio la possibilità di riavviare questo mese le esportazioni di Gnl, come promesso dal Governo, dopo una quasi totale assenza di spedizioni tra giugno e settembre.
«Abbiamo già visto che l’Egitto fatica a tenere il passo con la rapida crescita dei consumi interni e dell’export di Gnl», avverte Gergely Molnar, analista Aie. «Se togliamo dall’equazione il gas israeliano, questo comprometterà la capacità di esportare nei prossimi mesi». Soprattutto se il mega giacimento di Zohr, scoperto da Eni in Egitto nel 2015, continuerà a deludere.
In Israele la produzione di gas fino a pochi fa viaggiava a livelli record. Nel primo semestre sono stati estratti 12,3 miliardi di metri cubi (Bcm) nel Paese. Nel 2022 erano in tutto 21,9 Bcm, di cui 10,2 a Tamar, mentre Leviathan e Karish – gli altri giacimenti offshore attivi, che si trovano nel Nord, vicino al Libano – hanno prodotto rispettivamente 11,4 e 0,3 Bcm. Lo Stato ebraico ha consumato sul mercato interno 12,7 Bcm ed esportato via gasdotto verso Egitto e Giordania altri 9,2 Bcm, il 29% in più rispetto al 2021.
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