Forza Italia: Gelmini e Brunetta lasciano, Carfagna «prende distanze». Resa dei conti draghiani-sovranisti
Il partito si spacca sulla fiducia al governo, dando il via a una resa dei conti fra due anime sempre più in contrasto fra loro
I punti chiave
4' di lettura
La resa dei conti è iniziata. Lo strappo di Forza Italia dalla maggioranza pro-Draghi, con la scelta di boicottare la fiducia al governo, sta acuendo una divisione latente nell’ex partito di traino del centrodestra: da un lato il blocco «governista», rappresentato nell’esecutivo dai ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini; dall’altro la fazione più vicina al blocco sovranista di Lega e Fratelli d’Italia, associato soprattutto alla senatrice Licia Ronzulli e agli attuali vertici forzisti. Una scissione fra le due correnti, già ipotizzata più volte, ha iniziato a manifestarsi il 20 luglio, con una serie di addii pesanti per gli equilibri interni a Fi. Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta hanno già ufficializzato il proprio addio al partito, mentre Mara Carfagna spiega che deve «prendere le distanze» e avviare una «riflessione politica» sul suo futuro.
Gelmini e Brunetta fuori, Carfagna a un passo dall’addio
Il primo passo indietro è arrivato da Gelmini. La responsabile degli Affari regionali ha annunciato il divorzio da un partito accusato di «aver tradito la sua storia», adagiandosi sulla linea imposta dalla Lega di Salvini. Una motivazione identica a quella offerta dal suo collega alla Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, quando ha annunciato a sua volta l’addio a Forza Italia. «Non votando la fiducia a Draghi, Forza Italia ha tradito la sua storia e i suoi valori. Non sono io che lascio - ha sottolineato Brunetta -, è Forza Italia che lascia se stessa». «Sono degli irresponsabili coloro che hanno scelto di anteporre l’interesse di parte all’interesse del Paese - ha poi aggiunto - , in un momento così grave. I vertici sempre più ristretti di Forza Italia si sono appiattiti sul peggior populismo sovranista, sacrificando un campione come Draghi, orgoglio italiano nel mondo, sull’altare del più miope opportunismo elettorale».
Mara Carfagna non parla esplicitamente di rottura, ma tutto lascia intendere che l’uscita sia - come minimo - imminente. «Sono grata al presidente Berlusconi per le opportunità che mi ha offerto e la fiducia che mi ha testimoniato in questi anni, ma quanto accaduto ieri rappresenta una frattura con il mondo di valori nei quali ho sempre creduto che mi impone di prendere le distanze e di avviare una seria riflessione politica».
Cangini aderisce ad Azione, per «costruire polo liberale»
I malumori sono in crescita anche nelle pattuglie parlamentari, con alcuni esponenti che osteggiano apertamente la linea concordata dal fondatore Berlusconi e gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Alcuni parlano già di una diaspora degli esponenti verso i partiti che orbitano nell’area centrista, il cosiddetto «terzo polo» in via di costruzione per il 25 settembre. Il senatore azzurro Andrea Cangini ha annunciato già il 20 luglio il suo voto favorevole alla fiducia, dimettendosi il giorno dopo. Il 22 luglio ha comunicato la sua adesione ad Azione, il movimento politico di Carlo Calenda. «All’Italia serve un politica realista, competente, coraggiosa - ha detto Cangini - per questo, preso atto della demagogia dilagante, ho deciso di aderire ad Azione e aiutare Carlo Calenda a costruire un polo liberale che non si limiti a denunciare i problemi, ma sia anche capace di indicare soluzioni ragionevoli».
Lo scontro fra «draghiani» e sovranisti
La crisi di governo ha esasperato tensioni che covavano da tempo, sotto la parvenza di coesione nel governo Draghi. Il partito sembra spaccato in maniera sempre più netta fra una corrente «draghiana», di intonazione centrista, e una più vicina all’asse con Lega e Fratelli d’Italia. A prevalere è stata la seconda, con il culmine nella scelta di boicottare il voto di fiducia a Draghi e accodarsi alla campagna elettorale già avviata dagli alleati. La coesistenza fra le due anime aveva già creato qualche fibrillazione, con alcune prese di distanza personali e il moltiplicarsi di iniziative in rottura - più o meno - aperta con la linea di Arcore. Oltre a casi singoli, come le dimissioni del senatore Elio Vito, Forza Italia ha visto il crearsi di costole di centro-destra che hanno dato ospitalità a ex esponenti delusi dalla virata «sovranista» del partito. L’esempio principale è Coraggio Italia, una sigla centrista oggi capitanata dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il presidente della regione Liguria Giovanni Toti.
Le tensioni non potranno che intensificarsi ora, con il tracollo della maggioranza Draghi e il - probabile - avvio di una campagna elettorale per il voto in autunno. Oggi i sondaggi accreditano Forza Italia come l’azionista meno influente in una eventuale coalizione di centrodestra, con consensi inferiori al 10% e un travaso di alcuni esponenti prima verso la Lega e, più di recente, fra le file di Fratelli d’Italia. La leadership forzista non sembra comunque aver dubbi sulla collocazione del partito, indicato più volte dal suo coordinatore Antonio Tajani come baricentro «liberale, cristiano, europeista e garantista» in una coalizione sbilanciata a destra.
A rischio unità interna
L’unità interna è meno ovvia, almeno a giudicare dalle scintille che si sarebbero innescate oggi fra due esponenti di peso come la stessa ministra Gelmini e la senatrice Licia Ronzulli, indicata come una delle voci più influenti nell’area filo-leghista di Forza Italia. Gelmini ha spiegato che il suo addio è dovuto alla subalternità del suo ormai ex partito alla linea di Salvini. «Quando a dettare la linea è una Lega a trazione populista, preoccupata unicamente di inseguire Giorgia Meloni, questi sono i risultati» ha detto. Il riferimento era “solo” alla caduta del governo e all’ultimatum imposto dal centrodestra a Draghi, aggravando una crisi che sembrava destinata a risolversi in giornata. Ora suona più come un resoconto della rottura, quella che potrebbe essere appena agli inizi nel partito di Berlusconi. (Alberto Magnani)
loading...