Genitori divisi: no al trasferimento dei figli in una città lontana dal padre
di Giorgio Vaccaro
3' di lettura
È possibile cambiare la
Di qui la richiesta al giudice della separazione di autorizzare il suo trasferimento e quello dei figli, allocati presso di lei. Aveva resistito a questa pretesa il padre, adducendo la possibilità per la donna di trovare altro impiego, del medesimo spessore economico, nella propria città, così da non dover costringere i figli ad un trasferimento altrove. Una decisione che avrebbe, per altro, privato i figli del rapporto con il loro padre, data la distanza di oltre 300 chilometri della città nella quale la madre aveva pensato di andare al lavorare. La ricorrente adduceva, ancora, il fatto che la tenera età dei figli (sei e due anni) non consentisse un distacco dalla figura materna e sottolineava come la città prescelta, fosse stata, in precedenza, luogo di abitazione della famiglia.
Il Tribunale, nel respingere la richiesta, ha osservato innanzitutto che le motivazioni relative alla «diversa e migliore» sistemazione lavorativa non erano state provate. Secondo il giudice, «è chiaro che la signora può inseguire la sua realizzazione personale laddove le sembri opportuno, ma si vuol dire che le due proposte lavorative depositate, non sembrano di spessore e di redditività tali, da giustificare il trasferimento dei figli ad oltre 300 chilometri dal padre». La sentenza specifica, al contrario, come non fossero state esaminate dalla donna le diverse ipotesi di un impiego nella medesima città dove si era stabilita la famiglia, così tutelando il principio dell’esercizio della duplice responsabilità genitoriale, materna e paterna.
Ancora in merito all’opportunità di disporre un tale trasferimento, sempre in riferimento all’interesse dei minori, il Tribunale ha correttamente osservato come, il richiesto trasferimento, ove attuato «priverebbe i figli di quella presenza continuativa e di quel sostegno che solo un padre che vive nella stessa città può dare».
Per questo, il giudice analizza quale altra soluzione potrebbe essere idonea in alternativa. Così specifica che il trasferimento richiesto appare rispondere più all’interesse della sola madre, che viene da lei anteposto a quello dei figli.
La conseguenza è che «non si vede per quale ragione, fermo restando l’affido condiviso, qualora la madre insista nel volersi trasferire in ... altra città … perché non si possa mutare il regime del collocamento». Infatti, «anche se i minori sono ancora in tenera età, la figura del padre appare necessaria alla crescita dei minori quanto quella della madre, come ormai riconosciuto» dalla scienza psicogiuridica nella sua totalità.
Di fronte a ciò, a nulla vale la contestazione materna del poco tempo che il padre potrebbe offrire ai figli a causa dei suoi impegni di lavoro. Infatti seguendo il criterio della quantità del tempo, il giudice osserva: «Se ne dovrebbe concludere che solo le casalinghe dovrebbero essere collocatarie dei figli minori». Vale invece il principio diverso della qualità del tempo e dell’attenzione che il genitore deve dare ai propri figli. Così la sentenza conclude per il rigetto della richiesta di trasferimento.
loading...