Gentiloni: radicalizzazione sul web e nelle carceri. Minniti: Cie piccoli, diversi dal passato
di Andrea Gagliardi
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«Uno dei risultati più importanti» del lavoro della commissione sulla radicalizzazione è aver appurato che «i percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto in alcuni luoghi, nelle carceri e nel web, più che in altri luoghi che abbiamo magari molto seguito negli scorsi anni o decenni. Non c'è un idealtipo uguale per ciascuno dei soggetti che si radicalizzano, sono situazioni molto diverse. Ma bisogna lavorare sulle carceri e sul web per la prevenzione». Lo ha detto il premier Paolo Gentiloni in conferenza stampa a Palazzo Chigi, al termine dell’incontro, al quale ha partecipato anche il ministro dell’Interno Marco Minniti, con la Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista che ha lavorato negli ultimi 4-5 mesi sulle forme di radicalizzazione nelle minoranze fondamentaliste islamiche.
Minniti: su web 'malware del terrore'
Il rischio radicalizzazione sul web è stato ribadito dal ministro Minniti che ha parlato di « problema del “malware del terrore”» contro il quale serve una battaglia che «non può essere limitata ad un singolo paese», sottolineando che per arginare la propaganda del terrorismo islamico attraverso la rete e bloccare i processi di radicalizzazione occorre «costruire rete protettiva», che «deve essere il frutto di una cooperazione internazionale tra governi e grandi provider».
Gentiloni: in Italia meno radicalizzazione altri Paesi
Gentiloni ha spiegato inoltre che «c’è una specificità» italiana nei fenomeni di radicalizzazione e «per certi versi è più rassicurante nel senso che le dimensioni numeriche della radicalizzazione sono minori che in altri Paesi. Ma il fatto di avere un numero minore di persone radicalizzate o “foreign fighters” non ci deve indurre a sottovalutare il fenomeno e la necessità di capirlo».
I jihadisti provenienti dall’Italia «sono poco più di 100», un numero inferiore rispetto a quello registrato in altri Paesi europei, ha spiegato il professore Lorenzo Vidoni, che guida la Commissione sulla radicalizzazione, illustrando i risultati del lavoro di studio in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Nei fenomeni di radicalizzazione, ha spiegato Vidoni, «l’Italia è 5-10 anni indietro rispetto ad altri Paesi europei, vediamo ora in Italia le tendenze che in altri Paesi vedevamo 5-10 anni fa. Anche in Italia si vede un lieve aumento». L’obiettivo evidenziato dal ministro dell’Interno è «lavorare alla deradicalizzazione dei foreign fighters, anche se in Italia il fenomeno è lieve», perché «una grande democrazia non lascia mai nulla di intentato sul tema del recupero».
«No a equazioni improprie migrazioni-terrorismo»
Il presidente del Consiglio ha rimarcato inoltre che «la minaccia non autorizza a fare equazioni improprie tra migrazione e terrorismo», sottolineando che è questa «la bussola su cui si muove il governo». Di qui la necessità da un lato di «politiche migratorie sempre più efficaci, che coniughino attività umanitaria e accoglienza» e dall’altro di «politiche di rigore e di efficacia nei rimpatri» dall’altro. Sono questi del resto i due assi su cui poggia il piano del governo sul fronte immigrazione.
Minniti: Cie piccoli, diversi dal passato
«Abbiamo proposto un’ipotesi, e cioè di rendere il più possibile effettivi i respingimenti forzati. Il ministro dell’Interno dicendo che li vuole rendere effettivi non fa altro che rispettare la legge» ha detto Minniti in conferenza stampa, rispondendo a una domanda sulle polemiche politiche sui
respingimenti. «Se c'è una persona irregolare la legge prevede che sia
respinta, rimpatriata. Il problema è come e dove rimpatriarla», ha aggiunto, spiegando che «è difficile pensare che si possa procedere a un respingimento immediato delle persone irregolari» (il riferimento è alle critiche di Grillo, che aveva parlato della necessità di «espellere rapidamente gli irregolari, nel giro di qualche giorno», ndr).
I Cie (Centri di indentificazione ed espulsione) che dovranno ospitare le persone irregolari da respingere e dovrebbero essere uno in ogni Regione (sempre che la singola Regione dia il via libera, ndr) «non avranno nulla a che fare con quelli del passato. Punto. Non c'entrano nulla perché hanno un'altra finalità, non c'entrano con l'accoglienza ma con coloro che devono essere espulsi» ha assicurato il ministro. «Ne parleremo alla conferenza Stato-Regioni già convocata per il 19 gennaio. Proporrò strutture piccole, che non c'entrano nulla con quelle del passato, con governance trasparente e un potere esterno rispetto alle condizioni di vita all’interno. Parliamo di 1.500/1.600 posti in tutto, in un Paese con 60 milioni di abitanti».
Minniti: piccoli centri e accoglienza diffusa
Piccoli centri per richiedenti asilo, stop a “grandi strutture”, accoglienza diffusa sul territorio, rendere «più possibilmente effettivi i respingimenti forzati» di chi non ha diritto a rimanere. Questa la linea del governo in tema di migranti ribadita dal ministro dell'Interno, che ha sottolineati la necessità di affrontare il tema immigrazione «con una visione complessiva» e ha ricordato il protocollo sottoscritto con l'Anci e ha sottolineato come i sindaci rappresenteranno un «interlocutore privilegiato» per il ministero. «Lavoriamo ad un’accoglienza diffusa - ha spiegato - perché le grandi aggregazioni sono una cosa da evitare. E lavorerò con tutte le mie forze per evitare che vi siano elementi di discriminazione e di non rispetto dei diritti umani». Per il responsabile del Viminale l’integrazione è «la seconda gamba» del piano immigrazione «altrettanto importante della prima» ossia il respingimento effettivo degli irregolari. Per Minniti infatti la severità nei confronti della irregolarità consente di essere più forti sul terreno dell’integrazione.
Gentiloni ha infine ribadito come l'Italia stia facendo «un grande sforzo sul contrasto alla radicalizzazione e alla minaccia terroristica» e su questo fronte è necessario un impegno a «medio termine assieme alle comunità islamiche, ingaggiandole in un'attività di prevenzione». Non a caso il lavoro della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista proseguirà, per via dell’esigenza del governo «di comprendere sempre meglio le modalità e i percorsi della radicalizzazione per potersi meglio attivare per contrastarla».
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