Germania e Israele, giochi pericolosi
Munich games. A cinquant'anni dall'attentato alle Olimpiadi di Monaco viene organizzata per commemorare le vittime un'amichevole, che potrebbe diventare una nuova occasione per scatenare il terrorismo. Pretestuoso ma coinvolgente
di Gianluigi Rossini
2' di lettura
A cinquant’anni dall’attentato al villaggio olimpico del 1972, nel quale morirono 17 persone, è stata organizzata un’amichevole tra il Bayern Monaco e l’Halutzi Tel Aviv, per commemorare le vittime e ribadire l’amicizia tra Germania e Israele. Munich games è uno spy-thriller godibile a patto che si accetti questa improbabile premessa, ovvero che a qualcuno possa essere sembrata una buona idea fornire l’occasione perfetta a tutti i terroristi del mondo. L’annullamento della partita, che nel corso dei sei episodi viene paventato più volte come se fosse un disastro, non sembra una posta in gioco abbastanza importante per chi sta dall’altra parte dello schermo.
E tuttavia la costruzione drammatica è efficace: la storia è incorniciata in un conto alla rovescia dei giorni mancanti all’evento, e strutturata intorno alla collaborazione tra un agente dei servizi segreti israeliani, specializzato in informatica (Oren Simon, interpretato da Yousef Sweid) e una detective della polizia tedesca, di origini palestinesi, esperta di potenziali cellule terroristiche presenti sul territorio (Maria Köhler, interpretata dall’affascinante Seyneb Saleh).
L’incontro/scontro tra Oren e Maria drammatizza un conflitto etico su come vada affrontata la minaccia terroristica, tra lo sprezzo dei diritti umani, mostrato degli agenti israeliani e il rispetto delle leggi della controparte tedesca, a rischio di inefficacia.
La collaborazione israelo-tedesca, d’altra parte, era già nella produzione: Munich games è stata scritta dalla sceneggiatrice israeliana Michal Aviram, autrice dell’apprezzata Fauda, e interamente girata da Philipp Kadelbach (Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino). Pur ambientata interamente a Monaco, la serie sceglie coraggiosamente un approccio multilinguistico, per cui si passa continuamente dal tedesco all’ebraico, dall’arabo all’inglese.
La regia di Kadelbach è sobria e funzionale, si appoggia agli stilemi del genere crime ma senza manierismi, attenta principalmente a valorizzare l’ottima scrittura di Aviram. Al di là di alcuni cliché e di una protagonista forse un po’ troppo perfetta, la serie fa crescere la tensione di episodio in episodio, tra false piste e rivelazioni improvvise, per arrivare a buon finale, inaspettato e ambiguo.
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