Germania, von der Leyen alla Ue crea scompiglio nella fragile Grande coalizione
dal nostro corrispondente Isabella Bufacchi
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FRANCOFORTE - La Germania non mette piede nell’ufficio della presidenza della Commissione europea dal 1967, anno in cui lasciò l’incarico Walter Hallstein, l’ultimo tedesco a ricoprire il ruolo. L’ascesa a presidente di Ursula von der Leyen, attuale ministro della Difesa della Cdu descritta dai commentatori politici più velenosi come “ex-delfino” di Angela Merkel, se confermata dal Parlamento europeo porterà a casa una vittoria. Ma non è così che viene vissuta questa nomina in Germania.
La «GroKo» in crisi
Arrivato a sorpresa dopo logoranti trattative-fiume notturne del Consiglio europeo, quando tra l’altro a Francoforte Jens Weidmann veniva dato vicinissimo al traguardo della guida della Bce, il riscatto della von der Leyen piomba sulla scena politica tedesca mentre è in corso la tragedia della GroKo, il dramma in innumerevoli atti dei tre partiti che formano la grande coalizione di governo: l’accoppiata Cdu-Csu vacilla tra il primo e secondo posto negli ultimi sondaggi, in area 25-26%, dividendo il ruolo da protagonista con i Bündnis 90/Die Grünen; l’Spd negli ultimi sondaggi è relegato invece a un posto di comparsa al 13%, che tra l’altro deve difendere con le unghie e con i denti dalle ambizioni del partito di estrema destra Afd, anch’esso in area 13% a livello federale ma in vista del 20% in almeno uno dei tre Länder nella ex-Germania dell’Est dove si svolgono in autunno importanti elezioni regionali.
Pioggia di critiche alla von der Leyen
Il clima a Berlino e in tutti i circoli politici dei 16 Länder è diventato talmente tossico, avvelenato dal declino dei partiti dell’establishment, che anche quella che poteva essere salutata come una “vittoria” tedesca a Bruxelles è stata contaminata dalle tossine nell’aria. Su Ursula von der Leyen i commentatori tedeschi fanno a gara all’elenco più lungo dei suoi difetti e fallimenti (addossandole i problemi che la Difesa e l’esercito si trascinano da oltre un ventennio o rimproverandola per non aver sciolto tutti i nodi dal 2013 quando ha assunto l’incarico). In un recente sondaggio, nel Paese che notoriamente va matto per i rilevamenti degli umori di elettorato e cittadini, il 56% degli interpellati è risultato contrario alla ministra «che lascia il viale del tramonto in Germania per una strada lastricata di gloria a Bruxelles».
Conta tuttavia ancor più, per l’assetto politico in Germania, lo scompiglio che questa nomina ha causato nell’Spd, con ricadute che potrebbero compromettere la tenuta della GroKo: l’ex leader socialdemocratico Sigmar Gabriel, non più un peso massimo, ha tuonato in un’intervista che il partito dovrebbe lasciare il governo perché la Merkel non avrebbe rispettato le “regole” di convivenza della coalizione: sul nome del candidato ci sarebbe dovuto essere un accordo a tre, che non c’è stato. Alla cancelliera viene rimproverato di aver fatto di testa sua, pur di dar lustro a una Cdu che ha perso smalto: un argomento che viene usato contro la Merkel anche nell’unione-sorella Csu, che non riesce a farsi una ragione per aver fallito con la candidatura di Manfred Weber (che pur a malavoglia è stata ben sostenuta dalla cancelliera).
Spd in crisi di identità
L’Spd ha appoggiato ovviamente il socialdemocratico olandese Frans Timmermans. Ma le accese polemiche contro la von der Leyen sono anche pretestuose: l’Spd è in crisi dalle elezioni federali del settembre 2017, con il 22% dei voti contro il picco dei sondaggi al 32% all’inizio dello stesso anno. Un declino che appare inarrestabile e che ha già fatto fuori nell’arco di due anni i leader Gabriel, Martin Schulz, Andrea Nahles: quest’ultima ha lasciato il posto lo scorso mese con dimissioni a sorpresa, e la leadership è ora vacante, dovrebbe essere ricoperta - novità assoluta per questo storico partito - in tandem da un uomo e una donna, copiando la formula dei Grünen. I potenziali candidati sono tanti, troppi, ma di nomi nuovi e dirompenti non se ne vedono, è il commento che serpeggia tra i membri: e le promesse scontate per «fare di più sul cambiamento climatico e la digitalizzazione del Paese» suonano come un disco rotto, perché sono oramai sulla bocca di qualsiasi politico tedesco, di qualsiasi partito. Sull’onda della conferma di von der Leyen alla presidenza della Commissione, oppure comunque tra fine 2019 e inizio 2020 per la verifica dei primi due anni di GroKo (come previsto nel contratto) l’Spd potrebbe decidere di lasciare il governo: rischiando di scendere sotto il 10 per cento.
PER APPROFONDIRE / Perché il governo ha perso la partita delle nomine
Forse dopo un gran vociare, della crisi di governo non se ne farà nulla. Ma la Grande Crisi resta. La Cdu sta cercando di fare i conti con la performance deludente della neo-leader Annegret Kramp-Karrenbauer: forse un rimpasto a livello di leadership arriverà anche nel partito della Merkel, ma scarseggiano anche lì candidati capaci di dare la grande svolta. Intanto forse andrà trovato un nuovo ministro della Difesa. La Germania è in rallentamento economico ma cresce da un decennio, ha raggiunto la piena occupazione e ha un tasso di disoccupazione record: questo nei sondaggi evidentemente ha impatto zero e per la comunicazione con gli elettori di Cdu-Csu e Spd almeno questo è un fallimento certo.
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