Le sfide del nuovo cancelliere

Germania al voto, modello economico da ripensare

La transizione verso un paradigma socio-economico più equilibrato è un appuntamento con la storia a cui la Germania non potrà sottrarsi ancora a lungo

di Marcello Minenna

(IMAGOECONOMICA)

7' di lettura

Manca ormai poco più di un mese alle elezioni in Germania. Il nuovo cancelliere – sul cui nome i sondaggi non offrono ancora chiare indicazioni – avrà il compito di guidare il paese almeno per i prossimi 4 anni. La Merkel – che lascia la premiership dopo 16 anni di onorato mandato – gli consegnerà un paese che è la prima potenza economica del vecchio continente ma che oggi deve affrontare diverse questioni che ne mettono in discussione il modello socio-economico di stampo ordo-liberista.

Uno dei cardini di questo modello è la rigida disciplina fiscale incarnata dallo slogan politico dello Schwarze Null (il pareggio di bilancio) e dalla regola sul freno del debito (debt brake) che limita l'indebitamento netto strutturale allo 0,35% del PIL. Da anni la solidità dei conti pubblici assicura alla Germania un elevato standing creditizio e un costo del debito straordinariamente basso. L'altra faccia della medaglia, tuttavia, è una spesa pubblica significativamente sottodimensionata rispetto alle esigenze del paese.

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Mancanza di investimenti pubblici

Gli investimenti pubblici, che nel 1970 erano pari al 5% del PIL, dopo un progressivo declino oscillano intorno al 2% da almeno quindici anni, e contribuiscono per appena il 10% alla formazione complessiva di capitale fisso lordo, il valore più basso tra i grandi paesi dell'area euro. A luglio Scope Ratings ha stimato che dal 2008 l'investment gap della Germania rispetto agli emittenti analoghi con rating tripla A ammonta a circa 410 miliardi di euro, pari al 12% del PIL tedesco del 2019. Nel tempo il calo degli investimenti ha favorito il decadimento del patrimonio infrastrutturale del paese: i dati del World Economic Forum evidenziano un impoverimento nella qualità dell'intera rete delle infrastrutture di trasporto con conseguente peggioramento del posizionamento del paese nel ranking internazionale sul grado di competitività

QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO IN GERMANIA
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Lo scorso anno, causa Covid-19, è stata decisa una deroga eccezionale alla regola del freno sul debito inserita in Costituzione nel 2009 ma per fronteggiare il fabbisogno di investimenti del paese servono iniziative più strutturali anche in ragione delle sfide poste dalla transizione verso un'economia green e digitale. La Germania si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra del 65% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e a diventare carbon neutral al più tardi entro il 2045. Per rispettare questi impegni occorrerà riconvertire gli apparati produttivi, destinare molte risorse alle nuove tecnologie di trasporto e alle infrastrutture di produzione delle energie rinnovabili e attivare una serie di iniziative a supporto dei settori e dei lavoratori più esposti al rischio di marginalizzazione derivante dalla decarbonizzazione. Tutto questo richiederà al governo federale un enorme sforzo in termini di stanziamento di fondi pubblici che renderà pressoché inevitabile l'allentamento delle rigide regole fiscali applicate sinora.

Una popolazione in rapido invecchiamento

Nei prossimi anni, poi, il bilancio pubblico tedesco – come quelli di molti altri Stati Europei – si troverà a fare i conti con le avverse dinamiche demografiche. Attualmente il demographic dependency ratio, ossia il rapporto tra gli over 65 e i cittadini di età compresa tra i 15 e i 64 anni è pari a 33,7% (nel 2009 era 30,9%) ma a causa dell'invecchiamento della popolazione è destinato ad aumentare rapidamente e ad accrescere la spesa pubblica previdenziale. Già oggi i fondi destinati al sistema pensionistico assorbono quasi il 30% del budget federale e il debito pubblico ‘implicito' – cioè quello derivante dai cambiamenti demografici a politiche invariate – supera il 90% del PIL e sopravanza largamente quello ufficiale, pari al 71% del PIL dopo il balzo in avanti del 2020.Le ombre del mercato del lavoro Un altro capitolo complesso riguarda il mercato del lavoro.

La Germania vanta un tasso di disoccupazione estremamente contenuto (3,7% a giugno 2021 a fronte del 7,7% per l'intera Eurozona) e un elevato tasso di partecipazione della forza lavoro (79,3% nel 2019 contro il 72,6% della Francia e il 65,7% dell'Italia). Ma ci sono anche molti elementi di fragilità come l'elevata percentuale dei lavoratori che percepiscono bassi salari, la notevole diffusione del lavoro part-time e l'alto cuneo fiscale, specie sui redditi più bassi. La quota di lavoratori a tempo pieno che ricevono una retribuzione inferiore ai 2/3 del salario mediano si colloca tra il 18% e il 19%, sistematicamente sopra il 15% della media UE, e il dato peggiora sensibilmente se si considerano solo i lavoratori con occupazioni poco qualificate (c.d. low skilled). L'incidenza dei lavoratori part-time sul totale degli occupati risulta stabilmente superiore al 26% (cioè più di 1 lavoratore su 4 è part-time), mentre negli altri principali paesi Europei il dato è inferiore al 20% .

QUOTA DI LAVORATORI PART-TIME SU TOTALE OCCUPATI
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Anche per questo motivo il numero di ore lavorate in media all'anno per lavoratore è particolarmente basso rispetto ai valori di altre economie avanzate (cfr. Figura 3). Nell'intero periodo 1995-2020, il dato tedesco è stato sistematicamente inferiore alla media UE e a quella OCSE, ed è in continua riduzione: dalle 1530 ore medie di lavoro annue per individuo occupato del 1995 si è passati alle 1382 del 2019 (l'ulteriore calo verificatosi nel 2020 risente, come per gli altri paesi, dell'effetto della pandemia).

ORE MEDIE ANNUALI LAVORATE PER LAVORATORE
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Come evidenziato in un paper pubblicato il mese scorso dal think tank tedesco Dezernat Zukunft (“Reparto Futuro”), questo assetto riflette un sotto-utilizzo della capacità produttiva (e in particolare del fattore lavoro), limita il potere d'acquisto delle famiglie frenandone i consumi e compromette l'efficacia del contratto sociale intergenerazionale dato che la capacità del settore privato di contribuire alla spesa previdenziale risulta necessariamente contenuta. Nel 2020, per via del Covid-19, i consumi privati hanno sperimentato il maggior calo su base annuale (-4,5% a prezzi correnti) degli ultimi 50 anni, ma anche tralasciando questo episodio eccezionale, nell'ultimo decennio la spesa per consumi delle famiglie tedesche è stata sostanzialmente in costante declino passando dal 56% del PIL nel 2010 al 52,5% nel 2019, e risulta inferiore a quella della Francia e ancora di più a quella dell'Italia.

Rischi in vista per il mercantilismo tedesco

Bassa spesa pubblica, debolezza dei consumi privati e scarsi investimenti qualificano una strutturale insufficienza della domanda interna che finora la Germania ha di fatto ignorato puntando tutto sul proprio modello di crescita export-driven. Tuttavia negli ultimi anni una serie di dinamiche sfavorevoli ha messo in luce i pericoli associati a questo modello: le tensioni nel panorama del commercio internazionale dovute al contrasto tra Stati Uniti e Cina, la Brexit, il repentino congelamento degli scambi dello scorso anno e i rischi posti dallo scenario post-pandemico. Nel 2020 le esportazioni di beni tedeschi verso il resto del mondo sono calate del 9,2% rispetto all'anno precedente (1208 miliardi di € contro i 1330 del 2019).

La prima parte del 2021 ha visto una decisa ripresa, ma di recente la forte dipendenza dall'Estremo Oriente (Cina, Taiwan, Corea del Sud) sta compromettendo la performance della locomotiva d'Europa, per lo meno nel breve periodo. Da un lato il raffreddamento dello stimolo creditizio in Cina sta già riducendo la domanda di prodotti made-in-Germany da parte dei paesi extra-UE. Dall'altro lato ci sono i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento globali e soprattutto la grossa carenza di semiconduttori, il bread and butter dell'industria automobilistica ed elettronica tedesche. I tempi di consegna presentano ormai ritardi di 20 settimane, e questo sta letteralmente congelando l'operatività di colossi come Volkswagen, BMW e Mercedes, già provati dall'azzeramento della domanda durante i lockdowns stretti del 2020.

Non a caso la produzione industriale è scesa per 3 mesi di fila (-1,3% su base mensile nell'ultima rilevazione relativa al mese di giugno 2021), indice di un rallentamento della macchina produttiva tedesca. È verosimile che nei prossimi mesi i problemi legati al malfunzionamento delle catene di fornitura vengano superati, ma in una prospettiva di medio-lungo termine la vera sfida per la Germania appare in ogni caso legata alla stabilizzazione del saldo con l'estero. La pandemia ha mostrato la fragilità di un eccessivo affidamento nel commercio internazionale ed ha contribuito alla recrudescenza di istanze protezionistiche in parecchie economie.I rapporti con il sud-est asiatico, specialmente con la Cina, sono un nodo particolarmente delicato per tutte le economie occidentali e la Germania non fa eccezione. La Cina è un mercato di sbocco strategico per l'export tedesco (cfr. Figura 4) ed ha ormai sorpassato gli Stati Uniti diventando il primo partner commerciale della Germania.

QUOTA DI ALCUNI PAESI SUL TOTALE DELLE ESPORTAZIONI DI BENI EXTRA-UE DELLA GERMANIA
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Ma il gigante asiatico è anche il principale concorrente del mercantilismo tedesco sullo scacchiere globale e in più impone a Berlino uno sforzo continuo per cercare di contemperare la tutela degli interessi commerciali del paese e l'avversione dell'Occidente per i regimi autocratici. Di recente la Germania ha adottato una legge che impone alle aziende con oltre 3000 dipendenti di dimostrare entro il 2023 che le proprie catene di approvvigionamento non comportino violazioni dei diritti umani pena l'erogazione di sanzioni fino al 2% del reddito annuale e dal 2024 la stessa legge sarà estesa anche alle imprese con più di 1000 dipendenti. Queste norme rischiano di complicare non poco la qualità dei rapporti con il governo di Xi Jinping.

Va poi ricordato che le dimensioni eccezionali del surplus commerciale tedesco hanno reso la Germania un concorrente sempre più scomodo per gli Stati Uniti e per molti paesi Europei. La stessa Commissione Europea non manca di raccomandare al paese di correggere quello che rappresenta uno squilibrio macroeconomico eccessivo, sebbene finora abbia sempre evitato di prendere provvedimenti concreti a fronte degli scarsi progressi in tal senso.

Il paper di Dezernat Zukunft testimonia che almeno una parte degli economisti tedeschi sta prendendo atto della necessità di un cambiamento radicale. Gli autori sottolineano l'importanza di normalizzare il saldo con l'estero e di stimolare la domanda interna e arrivano persino a raccomandare una nuova politica fiscale che punti a garantire l'utilizzo sostenibile della piena capacità dell’economia e dia a ciascun cittadino l'opportunità di essere sufficientemente produttivo per soddisfare le proprie esigenze. Difficile che il successore della Merkel – chiunque sarà – riesca ad avere la lungimiranza e l'autorevolezza necessarie per attuare simili riforme. Ma la transizione verso un paradigma socio-economico più equilibrato è un appuntamento con la storia a cui la Germania non potrà sottrarsi ancora a lungo.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

@MarcelloMinenna

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