Gherardo Felloni: «La moda deve donare gioia, non dare lezioni»
Incontro con il direttore creativo di Roger Vivier, la maison di calzature del gruppo Tod’s e marchio da 154 milioni di euro: «Bisogna continuare a sperimentare, senza divieti»
di Giulia Crivelli
3' di lettura
Vive tra Parigi e l’Italia. O meglio: tra la capitale francese, le Marche, e la Toscana, dove è nato e cresciuto e ancora oggi corre per dedicarsi a due sue grandi passioni, la cura di fiori e piante e il canto, circondato dagli affetti familiari e dai suoi amati (nove) gatti. Gherardo Felloni, dal 2018 direttore creativo della maison Roger Vivier (il marchio col posizionamento più alto del gruppo Tod’s) è diventato uno stilista, con una predilezione per scarpe e accessori, ma avrebbe potuto essere un architetto, un tenore o un giardiniere. L’allegra gentilezza dei suoi modi – che ha qualcosa di antico e allo stesso tempo di modernissimo, perché di gentilezza oggi abbiamo più che mai bisogno – ricorda il protagonista di uno dei più bei libri di John Le Carré degli ultimi anni, The Constant Gardener, diventato anche un film con Ralph Fiennes.
Osservandola dare gli ultimi ritocchi alla presentazione della collezione per la prossima primavera-estate si capisce quanto ami il suo lavoro. Nessuna ansia legata alla storia della maison e al suo fondatore?
Più che ansia, rispetto. Ho sempre amato e studiato Roger Vivier, che purtroppo non ho potuto incontrare (Felloni è del 1980, Vivier è scomparso nel 1998, ndr). Ma a volte chiudo gli occhi, oppure sogno a occhi aperti, e immagino di essere con lui, facendogli domande sulle collezioni del passato e chiedendogli consigli su quelle che verranno. E perché no, pareri sul mio contributo alla maison. Sono passati più di quattro anni dal mio arrivo e ho sempre l’impressione che la storia di Roger Vivier offra infiniti spunti. Ogni tanto frequento l’archivio, ma più che ai modelli di scarpe che ha creato, dentro di me faccio sempre riferimento alla sua caratteristica più bella, per me, quella di innovatore e di osservatore della realtà in tutte le sue forme. Era un uomo profondamente immerso nel presente, ma consapevole che in fondo il presente non esiste, che oggi è già domani e che la moda può e deve leggere il presente e allo stesso tempo proiettarsi nel futuro.
La realtà è fatta anche di numeri: il gruppo Tod’s è quotato e Roger Vivier nel primo semestre è cresciuto del 28,4% a 154 milioni ed è oggi il secondo marchio del gruppo, dopo Tod’s. Niente ansia da numeri?
Più che ansia, stato d’animo che per fortuna conosco poco, direi consapevolezza. L’industria della moda è relativamente giovane ma ha proporzioni, in Italia e nel mondo, enormi. Non sono un manager, ma capisco benissimo i vincoli legati all’essere quotati e al fatto che senza sostenibilità economica non si va da nessuna parte. Come creativo, accetto i limiti che possono venire sui budget, ad esempio, anche di presentazioni come questa di Parigi. Allo stesso tempo credo che rispetto ad altre industrie la moda abbia in sé una componente di incertezza, imprevedibilità e rischio che bisogna accettare, senza imporsi o sognare crescite a doppia cifra sempre e comunque. Ho la fortuna di lavorare in un gruppo guidato da un imprenditore, Diego Della Valle, che punta a una crescita sana, sostenibile nel medio e lungo periodo.
A Milano e ora a Parigi, a questa tornata e nelle scorse, alcuni marchi sembrano voler mandare messaggi alla società, per incoraggiare cambiamenti. Crede che la moda debba farlo?
Ripeto: secondo me la moda è parte della società, la racconta, la rispecchia. La storia della moda, parlo sia di abbigliamento sia di accessori, è così affascinante proprio perché aiuta a capire le diverse epoche e le tante culture del vestire che esistono su questo pianeta. Però non credo che si debbano mandare messaggi per così dire morali né dare lezioni. La società cambia indipendentemente dalla moda, noi creativi dobbiamo farcene una ragione. Siamo meno importanti di quel che crediamo (ride). Sia chiaro, prendo molto sul serio il mio lavoro, che mi diverte sommamente. Ma la moda deve trasmettere gioia, voglia di vivere, desiderio di piacere a se stessi e agli altri, aiutandoci a mostrare chi siamo. Niente imposizioni né divieti, però, per favore.
Avete introdotto una capsule di scarpe da uomo, potenziato le collezione di borse e presentato qualche gilet. Tutte categorie alle quali Roger Vivier non aveva pensato, cosa ne direbbe?
Le vedrebbe, credo, come innovazioni interessanti. Lui non aveva paura di sperimentare, rischiare, osare. Vorrei essere anch’io così.
Perché le scarpe sono così importanti?
Ho lavorato per tanti marchi e quando si decide un look per una campagna o una sfilata, sono le scarpe a fare la differenza. Lo stesso vale per chi le indossa: una donna si sente e cammina in modo diverso a seconda delle scarpe che indossa. Quale altro accessorio ha questa forza? Le scarpe definiscono la silhouette e dicono tanto di chi le sceglie.
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