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Gianmarco Tamberi, il re del salto in alto spera nelle Olimpiadi di Tokyo (nonostante tutto)

E' il grande obiettivo della sua carriera: dopo l'infortunio che a Rio che gli ha precluso la vittoria, ora si allena per conquistare l'oro ai Giochi.

di Paco Guarnaccia

Gianmarco “Gimbo” Tamberi è nato a Civitanova Marche nel 1992. Il suo anno magico è stato il 2016, con l'oro vinto ai Mondiali indoor e agli Europei. Nel 2019 ha conquistato la vittoria Europei idoor. Ora lo aspettano le olimpiadi.

3' di lettura

Gianmarco “Gimbo” Tamberi, uno dei più forti atleti di salto in alto di questa generazione, era arrivato a un soffio dal coronare un sogno chiamato Olimpiade. Era il 2016, lui era il più forte e con salti da 2,36 metri e da 2,32 metri si era laureato prima campione del mondo indoor, poi campione europeo: l'obiettivo era arrivare alla medaglia d'oro ai Giochi di Rio de Janeiro. Poi un maledetto infortunio poco prima della kermesse ha sparigliato le carte. Ma Gimbo, si è subito rimesso in piedi ed è tornato a vincere, in attesa di gareggiare alle prossime Olimpiadi. Da vivere come sportivo e come friend of the brand del marchio giapponese Seiko.

Come ti sei avvicinato al salto in alto? Avevo 17 anni e fino a quel momento avevo cercato di resistere il più possibile prima di farmi trascinare in quello sport. Questo perché da quando avevo quattro anni giocavo anche a basket che era, ed è, uno sport che amo alla follia. Ma alla fine, se dopo tre anni di salto in alto ero riuscito a qualificarmi alle Olimpiadi, era evidente qual era la scelta da fare.

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Quali sono le caratteristiche di questo sport? È una disciplina molto tecnica e fatta di minimi dettagli. Se si osserva l'allenamento di un saltatore di un certo livello ci si rende subito conto quanto tutto sia studiato meticolosamente: gli angoli, i millesimi di secondo in cui si tiene il piede a terra, i centimetri fatti in ogni passo durante la rincorsa o quelli relativi all'inclinazione rispetto all'angolo dell'asta. Spesso quando salto ho cinque telecamere intorno a me che mi riprendono da ogni angolazione. In questo sport le variabili sono molte. Fisicamente l'altezza delle anche, ovviamente, aiuta.

Anche il tempismo è fondamentale… Indispensabile perché ogni movimento che facciamo è analizzato al millesimo. Poi a livello più generale, la vita di uno sportivo è molto più scandita dal tempo rispetto a quella degli altri. Negli anni ho notato che le persone più puntuali agli appuntamenti, al 90% praticano o hanno praticato sport. È una questione di abitudine. Del resto da piccolo se arrivavi tardi agli allenamenti dovevi fare i giri di campo… Uno sportivo vive con l'orologio al polso.

Tokyo e le Olimpiadi sono il tuo grande sogno. Sperando che la pandemia non costringa a riaggiornarle. Io non vedo l'ora. È il solo motivo per cui ho deciso di ripartire dopo quell'infortunio così grave che mi ha fatto perdere i Giochi di Rio de Janeiro. Anche perché non mi sono mai goduto pienamente le mie vittorie e, a ripensarci ora, mi dà molto fastidio. Nel 2016, il mio anno migliore, ritenevo i miei successi come tappe di avvicinamento alla conquista della medaglia d'oro a Rio. Non pensavo di aver vinto il campionato del mondo e di essere in quel momento il numero uno. Magari se avessi gareggiato sarei arrivato ultimo, ma il mio obiettivo era salire sul gradino più alto del podio. L'infortunio ha spezzato quel sogno, ma mi ha fatto percepire un grande un affetto da parte della gente. Per Tokyo le mie aspettative sono alte.

Il Seiko Prospex Alpinist è in acciaio di 39,5 mm di diametro. Automatico. 729 euro.

C'è un altro legame con il Giappone per te importante… Sono friend of the brand del marchio Seiko. Un grandissimo onore, anche perché Seiko accompagna come sponsor e timekeeper ufficiale le grandi manifestazioni di atletica leggera. Anche i mondiali che ho vinto nel 2016. Ricordo che sul mio pettorale c'era il mio nome e quello del brand. Arrivare a Tokyo con questa grande famiglia giapponese sarà un enorme piacere.

Prima di ogni tuo salto si percepisce la carica. Che momenti sono quelli prima di staccarsi da terra? Quando faccio partire la clap è uno dei momenti più belli. La tensione è tanta e l'energia che arriva da uno stadio pieno di tifosi non ha paragoni: ne ero convinto prima e dopo il 2020, passato a gareggiare in stadi vuoti, lo confermo. Io sono fatto così, lontano anni luce dalla figura dell'atleta robot dell'atletica leggera. Anche la mezza barba che porto durante le gare (e solo in quel momento visto che la prima cosa che faccio appena uscito dallo stadio è tagliarmela) è il mio travestimento da guerriero: un po' come i segni che si facevano in volto i nativi americani prima di andare in battaglia.

Battaglia che poi è il salto. Non è un momento di sospensione, ma quello in cui capisco se a terra ho fatto tutto bene. Dal primo all'ultimo passo. Se tutto è andato per il meglio, l'asta la supero al 99%...

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