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Giappone, addio pacifismo: Tokyo accelera la corsa al riarmo

Il premier Kishida teme gli effetti legati all’invasione russa dell’Ucraina. La Cina potrebbe sentirsi autorizzata a fare altrettanto sulle isole contese e su Taiwan

di Gianluca Di Donfrancesco

Incursioni di jet russi e cinesi sui cieli del Giappone durante il summit Quad

3' di lettura

«Quello che sta succedendo in Ucraina, domani potrebbe accadere nell’Asia orientale»: il premier giapponese Fumio Kishida lo ripete come un mantra, da quando la Russia ha lanciato la sua campagna di conquista. Lo ha fatto anche allo Shagri-La Dialogue, davanti alle delegazioni di 42 Paesi, riuniti a Singapore nel forum sulla sicurezza nella regione. Lo farà ancora a Madrid a fine giugno, quando sarà il primo leader giapponese a partecipare a un vertice Nato. Dietro il mantra, c’è una profonda revisione della dottrina di difesa del Giappone.

Kishida non è un falco. Si presenta come fortemente impegnato nel mantenimento della pace e nel disarmo nucleare: la sua base elettorale, del resto, è Hiroshima. Il premier giapponese non ha però esitato a seguire l’Occidente nella condanna dell’invasione dell’Ucraina e nelle sanzioni contro Mosca.

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Effetti collaterali dell’invasione russa in Ucraina

Tokyo guarda al conflitto in Europa pensando a cosa potrebbe significare per l’Asia: se la Russia non sarà fermata, Pechino potrebbe sentirsi autorizzata a mosse ancora più aggressive in quella che considera la propria sfera di influenza. Questo potrebbe far esplodere le tensioni sulle isole contese con il Giappone e magari portare a un attacco contro Taiwan, che dista appena 110 chilometri dall’isola nipponica di Yonaguni. A Tokyo, si prende molto sul serio l’ipotesi che la Cina possa usare la forza per “riunificare” l’isola entro il 2027.

Tra i tanti effetti a cascata dell’invasione dell’Ucraina, c’è così anche l’accelerazione di una svolta storica in Giappone, quella che lo spinge ad allentare alcuni dei vincoli auto-imposti e a ripensare il pacifismo che lo caratterizza dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Spesa militare allineata alla Nato

Il punto di partenza è la spesa militare. Il Partito liberaldemocratico (Ldp) di Kishida punta a raddoppiare il budget della difesa, portandolo al 2% del Pil, il valore raccomandato dalla Nato. Fino al 2021, Tokyo ha sempre osservato un tetto dell’1%. L’anno scorso, però, la spesa è aumentata al tasso più alto dal 1972, arrivando all’1,24% del Pil, con stanziamenti per quasi 60 miliardi.

In valore assoluto, il budget per la difesa giapponese è ancora poco più di un quinto di quello cinese e lontanissimo dagli 800 miliardi degli Usa. Il Giappone ha tuttavia il terzo Pil del mondo e se ne spendesse il 2% per la difesa, potrebbe nel tempo diventare una delle maggiori potenze militari del pianeta.

Deterrenza principale forma di difesa

Kishida, in carica da soli otto mesi, sta imponendo al Giappone una nuova dottrina di politica estera, improntata sul «realismo», piuttosto che sull’idealismo pacifista. Cosa significa? Il realismo vede nell’equilibrio di forza tra le potenze, anziché nel diritto e nelle organizzazioni internazionali, il fattore che determina i rapporti tra gli Stati. L’invasione russa ha dato nuova linfa a questa scuola di pensiero, che di fatto teorizza la corsa agli armamenti, dato che considera la deterrenza la principale forma di difesa.

Fuori dai circoli accademici, un recente sondaggio dell’Asahi Shimbun ha rilevato che il 64% dei giapponesi è favorevole al rafforzamento militare del Paese e solo il 10% è contrario.

Spinge per il cambiamento anche la mutata percezione dell’impegno degli Usa nella regione, soprattutto dopo l’era Trump. Il Giappone resta sotto l’ombrello nucleare americano, ospita basi Usa, ma è sempre più convinto di dover fare da sé. Come del resto Washington chiede di fare a tutti gli alleati. C’è infine la minaccia rappresentata dalla Corea del Nord, una potenza atomica.

Margini di intervento limitati

La trasformazione non è semplice. Per cominciare c’è da vincere la resistenza del partner di coalizione dell’Ldp, il partito d’ispirazione buddhista Komeito. Il “pacifismo” del Giappone, inoltre, è scolpito nella Costituzione, redatta dalle forze di occupazione Usa dopo la Seconda guerra mondiale.

La Carta ripudia la guerra e vieta l’uso della forza nelle controversie internazionali. Tokyo ha le sue Forze armate, ma il loro ruolo è limitato alla difesa del Paese, come sancisce già il nome: Forze di autodifesa del Giappone. In tempo di pace, prima che si concretizzi una minaccia militare chiara e imminente, i margini di intervento molto limitati. Così il dibattito si avvita su bizantinismi: vietato parlare di «attacchi preventivi», si discute della possibilità di colpire «basi nemiche che stanno per lanciare missili contro il Giappone». Acquisire la capacità di colpire obiettivi militari, prima che il Paese venga attaccato, resta un tabù per molti. Almeno per ora.

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