Gifford, l’inventore della sigla Esg: «Volevo aiutare i fondi pensione a investire»
Il termine è stato coniato nel 2004, quando l’attuale responsabile della sostenibilità di Credit Suisse, era a Ginevra nel struttura Onu (Unep FI) che si occupa di ambiente
di Vitaliano D'Angerio
2' di lettura
Esg è una sigla ormai nota nel mondo della sostenibilità. Ma quanti anni fa è stata creata e in che contesto? Ce lo racconta il suo inventore: James Gifford, head of sustainable & impact advisory di Credit Suisse. «Il termine è stato coniato nel 2004 quando ero all’Unep FI, il programma Onu per l’ambiente, a Ginevra. Ci siamo resi conto che stava emergendo una consapevolezza diffusa dell’importanza della sostenibilità. Gli indicatori finanziari esistenti non stavano però catturando questi aspetti e non c’era un quadro comune per gli investitori – in particolare i fondi pensione – per incorporare la sostenibilità nei loro processi in coerenza con l’obbligo fiduciario di proteggere e far crescere i risparmi degli associati.
Quindi cosa è accaduto?
Abbiamo capito che se ci concentravamo sull’esclusione o sullo screening negativo, ad esempio, eliminando dai portafogli i cosiddetti settori non etici come il tabacco, non eravamo di aiuto ai fondi pensione poiché queste pratiche erano percepite all’epoca come una restrizione dell’universo di investimento e quindi potenzialmente una riduzione dei rendimento. Ciò poteva di fatto essere una violazione del loro dovere fiduciario. Così siamo riusciti a dimostrare che l’incorporazione di fattori ambientali, sociali e di governance (Esg) nei processi di investimento tradizionali avrebbe potuto portare a una sovraperformance e a una migliore gestione del rischio, elementi che rientravano negli obblighi fiduciari dei fondi pensione.
La vera esplosione della sostenibilità è avvenuta però a fine 2015, con il trattato di Parigi sul clima. È d’accordo?
L’accordo di Parigi ha certamente spinto con forza l’agenda Penso però che abbiamo visto una crescita costante di anno in anno in questo spazio, basata sul numero di firmatari dei Principles of Responsible Investments e sul totale delle attività dichiarate per incorporare approcci di sostenibilità.
La tassonomia Ue non crea troppi vincoli burocratici per gestori e aziende?
C’è certamente un grande sovraccarico amministrativo con la tassonomia dell’Ue, ma si spera che questi regolamenti forniscano chiarezza nel tempo e incoraggino la crescita dell’industria degli investimenti sostenibili.
Il fenomeno del greenwashing è dilagante. Non farà perdere credibilità?
Si discute molto di questo e penso che gli investitori, istituzionali e retail, stiano diventando più consapevoli di cosa andare a cercare. E sia i media, sia il mondo accademico stanno giocando un ruolo importante nel tenere sotto pressione l’industria.
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