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Gil (Ibm): «Intelligenza artificiale punto di svolta. Ma le imprese devono essere pronte»

Parla il Senior vice president e Direttore della ricerca globale del colosso Usa: «Necessaria la collaborazione con terze parti anche per democratizzare maggiormente la nuova tecnologia»

di Vittorio Carlini

(xyz+ - stock.adobe.com)

4' di lettura

«L’intelligenza artificiale avrà un forte impatto sull’operatività delle aziende. Le imprese devono essere pronte a cogliere l’opportunità». Dario Gil, Senior Vice President e Direttore della ricerca di Ibm, è convinto della rilevanza della rivoluzione cui assistiamo. «Dal punto di vista della capacità tecnologica – spiega lo scienziato presente al Forum The European House-Ambrosetti Cernobbio 2023- si tratta di un vero punto di svolta. Certo: è essenziale la qualità dell’esecuzione che ciascuna organizzazione è in grado di realizzare. E, tuttavia, penso che l’Artificial intelligence (Ai, ndr) sia un passaggio cruciale. Ora, per coglierne l’intero potenziale, occorre declinarla nelle varie applicazioni pratiche».

Ma quali ambiti saranno più impattati dell’Ai generativa?

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Gli effetti sono trasversali al business. Ciò detto la gestione del cliente, in particolare a livello di esperienza digitale, è molto influenzata dall’Ai. Pensiamo, in tal senso, ai sempre più sofisticati assistenti virtuali che interagiscono con l’utente. La stessa operatività interna dell’impresa verrà, poi, coinvolta. Posso ricordare, ad esempio, lo sviluppo di software o di nuovi prodotti. O, ancora, la ricerca e sviluppo. In generale assisteremo al forte incremento della produttività.

Già, la produttività. Rispetto alla realizzazione delle nuove tecnologie Ibm dà importanza alla cooperazione con terzi...

La collaborazione ormai è centrale. È al centro anche dello sviluppo della nostra nuova piattaforma watsonx. Detto questo, e sottolineando che i brevetti restano assolutamente rilevanti, si tratta di bilanciare le diverse esigenze. Ci sono parti di tecnologia che, ad esempio perché estremamente sensibili sul fronte della “security”, sono soggette a maggiore controllo. Altre, invece, non hanno questa necessità. Altre ancora sfruttano modelli open source. Le diverse opzioni sono presenti nei progetti di sviluppo tecnologico. Si tratta, per l’appunto, di concretizzare il giusto “trade off”.

Sotto l’aspetto della collaborazione scientifica, però, le tensioni tra Stati Uniti e Cina sono un ostacolo…

Riguardo a questa questione, va sottolineato che la tecnologia ha assunto la medesima rilevanza di temi geopolitici quali il commercio internazionale o le alleanze militari. In un simile contesto alcuni comparti (computing, semiconduttori, Intelligenza artificiale, biotecnologie ed energy, ndr) sono oggetto di nuove alleanze, limitazioni all’export e ulteriori divieti. Tutto ciò ha un’influenza. Anche per Ibm che, ovviamente, si conforma alla legge.

Ma è auspicabile che si arrivi al superamento di simili barriere?

A livello di scienza di base è fondamentale preservare, nel mondo, la più ampia collaborazione possibile. Quando, però, i progressi nella scienza di base sono trasformati in tecnologia è legittimo riconoscere a ciascuno Stato la facoltà di porre dei limiti. Soprattutto, se queste tecnologie possono vantare duplici scopi: commerciali ma anche militari o di intelligence.

Un limite all’Ai può arrivare dalla paura della gente...

Come scienziato comprendo perché tanta gente sia in ansia rispetto all’Artificial intelligence. È anche, e soprattutto, l’effetto della retorica di tanti colleghi del mio settore che hanno creato timore tra le persone. Ma io non condivido questi allarmismi. Sia ben chiaro: non sono un determinista tecnologico. E proprio per questo, penso che si debba demistificare la tecnologica e fare capire alla gente di cosa realmente si tratta.

In che modo?

Bisogna, ad esempio, permettere a più istituzioni di partecipare alla sua governance. Nei processi di sviluppo della nuova tecnologia devono essere coinvolte più realtà, i vari stake holder. È un cammino essenziale nella democratizzazione dell’Ai. Questo contribuirà anche a fare capire che l’idea che l’Ai possa sostituire l’essere umano non è una valutazione di carattere tecnologico, bensì una considerazione politica.

La regolamentazione del settore, come sta facendo l’Ue, può dare una mano?

Sì, bisogna regolare il comparto. Ma con il giusto metodo. Un approccio corretto è quello che adegua la norma in base al rischio. Se, ad esempio, l’Ai è utilizzata in un impianto nucleare la precisa definizione del suo uso è fondamentale. Ciò che può creare elevati danni a tante persone deve essere altamente regolato. Nel momento, invece, in cui sfrutto l’Intelligenza artificiale per attività contraddistinte da minori pericoli la regolamentazione è meno prioritaria. Nel mezzo, poi, ci sono aree dove la legge deve agevolare la capacità di comprendere come l’Ai funziona, come viene sviluppata.

Lei parla di fare comprendere l’Ai. E, tuttavia, gli stessi esperti possono non capire cosa stia facendo. È la “black box”.

Io non credo alla “black box”. È l’espressione di un modo di valutare i fenomeni troppo semplificato, che non mi soddisfa. Pensiamo, per un attimo, ai semiconduttori. Si tratta di una tecnologia complessa. Possiamo dire che non capiamo come funzionano? Penso di no! Può sfuggirci qualche dettaglio ma, in generale, li comprendiamo. Ebbene: analogo discorso può farsi con l’Ai. Ci sono migliaia di passaggi. E per ciascuno di questi “step” ci sono esperti che sanno cosa viene processato o quale dato è utilizzato. In altre parole: possiamo sapere cosa accade in questi passaggi.

Passaggi che, comunque, richiedono, rispetto all'Ai, un maggiore senso di responsabilità anche in chi li sviluppa…

Sostengo l’idea che lo scienziato conosca anche la storia, la legge o la sociologia. Così facendo ha ulteriori strumenti per comprendere l’impatto delle sue decisioni. Quando si crea una tecnologia si fa sempre una scelta che poi avrà delle conseguenze.

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