Giocare a 007 per diventare adulti
di Camilla Tagliabue
3' di lettura
Si diventa grandi quando si impara a farci stare tutto in valigia: non ci vuole un’indagine poliziesca per capirlo, o forse sì, almeno a dar retta a Pierdomenico Baccalario e Eduardo Jáuregui, autori dello spassosissimo Manuale delle 50 missioni segrete, illustrato da Antongionata Ferrari ed edito dal Castoro.
Pensato per bambini dai 9 anni in su, questo manuale interattivo ha l’ambizione di formare piccoli «agenti segreti... per sopravvivere nel mondo dei grandi», ovvero diventare come loro – grandi –, se non meglio. L’addestramento si articola appunto in cinquanta missioni (più una a scelta finale), con tanto di patentino su cui segnare le imprese andate in porto, quelle riuscite parzialmente e quelle fallite, insieme con le abilità e le conoscenze apprese (tecniche, emotive, relazionali...).
Oltre alla carta di identità segreta, l’aspirante spia dovrà equipaggiarsi di un kit di sopravvivenza: niente di losco, per carità, ma semplici strumenti di lavoro, utili pure nella vita di tutti i giorni, come agenda e penna, calcolatrice, computer, macchina fotografica e persino un drone – meglio se regalato da un «cugino ricco».
Indispensabile sarà poi crearsi una rete di alleanze, occulte ovviamente, diventando soci di altri agenti segreti coetanei e procacciandosi spie amiche tra gli adulti, «disponibili a fare il “doppio gioco”, a insegnarti le cose che non sai, a rivelarti qualcuno dei segreti dei grandi». La prima competenza da acquisire, infatti, è la capacità di osservare e carpire segreti altrui: tra le missioni preliminari compaiono, ad esempio, quelle di «spiare i genitori» e «fare un elenco di tutto ciò che c’è in casa».
La formazione dell’agente segreto prevede poi altre mansioni, quali fare sport, pianificare e organizzare le giornate, conoscere il quartiere e la città per potersi muovere da soli, recitare a memoria una poesia, coltivare l’insalata in terrazzo, leggere i giornali per intero, tenere un discorso pubblico, vendere, invitare qualcuno a uscire, baciare...
I compiti più difficili, perché apparentemente banali e routinari, rientrano nella generica categoria delle “faccende domestiche”: in questi casi, la spia in erba dovrà imparare a cucire, a fare la lavatrice, a cucinare, a cambiare una lampadina, a pulire la casa, a fare la spesa, ad appendere un quadro, a prestare il primo soccorso, a cambiare il pannolino a un neonato, a imboccare un bambino recalcitrante e inappetente.
Per ogni missione sono segnalati gli eventuali pericoli, insidie e tranelli – anche quelli più subdoli, nascosti negli strumenti tecnologici o nella navigazione online –, in modo da preservare la salute e l’incolumità del baby-007: segretezza non significa sventatezza, ricordano giustamente, e a più riprese, gli autori.
La missione delle missioni, cioè, è diventare autonomi, grazie all’intelligente e divertente percorso educativo proposto da questo manuale, quasi una autofiction di formazione laddove una volta si ricorreva ai classici romanzi di formazione. Di taglio più narrativo, in tal senso, è il racconto poliziesco di Rodolfo Walsh, giornalista e scrittore argentino, perseguitato e poi assassinato dal regime: Tre portoghesi sotto un ombrello (senza contare il morto) è del 1955, ma è stato da poco ripubblicato da Gallucci con i disegni di Inés Calveiro, e questa versione illustrata si è conquistata una “Menzione speciale” al Bologna Ragazzi Award 2016. Protagonisti sono appunto i tre portoghesi del titolo, tutti sospettati della morte del quarto. Indaga sul caso il commissario Hernández, che ha a disposizione solo pochi elementi: quattro cappelli, variamente bagnati dalla pioggia, e un misterioso ombrello rosso. Attraverso l’incalzante interrogatorio del poliziotto anche il piccolo lettore è chiamato a risolvere il giallo e a smascherare l’assassino grazie a minimi, ma decisivi, dettagli: «Chi ha sentito lo sparo? Chi reggeva l’ombrello? Chi ha visto che cosa è successo?».
L’indagine di Walsh solleciterà l’arguzia e la logica di tutti i giovanissimi detective, mentre ai più navigati, dagli 11 anni in su, si consiglia un grande classico della letteratura criminale: Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie, il best-seller più venduto del suo genere, riedito qualche mese fa da Mondadori nella collana dei Classici Illustrati. Tradotta da Beata Della Frattina e splendidamente illustrata da Paolo d’Altan (da brivido!), la storia ruota intorno a una sinistra filastrocca per l’infanzia, che racconta la morte, uno dopo l’altro, di «dieci poveri soldatini»: in realtà, i «soldatini» sono gli «indiani» del titolo, che nell’originale erano «dieci piccoli negri», Ten Little Niggers, titolo poi abbandonato per evitare fraintendimenti razzisti. I dieci personaggi del romanzo, convocati misteriosamente su un’isola disabitata, sono destinati a fare la stessa fine dei soldatini, o indiani che dir si voglia, venendo ammazzati uno alla volta e innescando perciò tra i superstiti paure, sospetti, ripicche e vendette. È un gioco al massacro in cui tutti accusano tutti di essere assassini, ma solo uno di loro è l’artefice del diabolico piano: al lettore scoprirlo. Attenzione che la Christie bara e confonde spesso le carte in tavola.
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