Giorgetto Giugiaro e i tre principi base del car design contemporaneo
A 84 anni, l'italiano che ha firmato alcune delle auto più iconiche del mondo non si ferma. E dice la sua sul dibattito forma-funzione: “Meno inquinamento ottico!”.
di Mario Cianflone
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I miti si raccontano con poche parole e molti numeri. Quelli di Giorgetto Giugiaro fanno impressione anche solo a elencarli senza commenti: oltre 300 vetture dal 1968 a oggi (alcune insieme al figlio Fabrizio con cui ha fondato nel 2015 la società indipendente GFG Style), 7 lauree ad honorem, 5 Compasso d'Oro, “Car Designer del Secolo” a Las Vegas, “Palme d'Honneur” a Parigi, Cavaliere del Lavoro dal presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi. A 84 anni ha il dinamismo e la libertà di pensiero di chi ha fatto la storia dell'automobile, ma non ha nessuna intenzione di parlare solo al passato. Forse per questo non fa sconti a nessuno quando tratta di design contemporaneo. «Ormai, nella progettazione, abbiamo strumenti che ci assistono sotto ogni aspetto e in ogni direzione, ma non possiamo permetterci, per attirare l'attenzione, di inseguire l'originalità a tutti i costi, di “stracaricare” l'automobile, di farla diventare un oggetto barocco. Il tempo che io dedicavo alla progettazione di un fanalino, ad esempio, era un'ora. Ora vengono impiegate settimane per lo stesso scopo. C'è sicuramente una crescita dell'attenzione nei riguardi di tutti gli elementi, come maniglie, pomelli, sedili, cuciture, un'attenzione che è anche gioiosa dal punto di vista della ricerca, ma non si starà forse esagerando?».
Il dibattito è lo stesso in tutti i campi del design: forma verso funzione. La linea di confine fra il lusso come mero decorativismo e la qualità come precisione di stile e performance è difficile da tracciare. «L'eccesso sembra orientato unicamente a caratterizzare, a stupire, in definitiva a vendere. Se tutto questo fosse dovuto a problemi di omologazione saremmo più tranquilli, certe forme e certe curve del disegno, così come gli standard di progettazione degli accessori, avrebbero una ragione pratica, sarebbero pensati per migliorare la sicurezza, ma allo stato attuale aumentano soltanto l'inquinamento ottico, come lo chiamo io. Ti guardi attorno, osservi il paesaggio, una bella casa, e poi ti imbatti in un'automobile che non capisci da dove sia uscita, da che proporzioni sia sorretta».
È un tema di ergonomia, ma anche di equilibrio nella definizione di esterni ed interni. Su questo Giorgetto ha le idee molto chiare e va subito al sodo. «Facciamo un esempio pratico: le grafiche del cruscotto. Per una persona anziana che ha problemi a leggere, la grafica è determinante. La scelta dei colori, specie di colori di una delicatezza eccessiva, con toni chiari che vanno dal verde al beige, come se si trattasse di illustrazioni di libri per bambini, è un problema. Perché avviene? Perché chi progetta i cruscotti è una persona giovane che vede bene, attenta alla resa estetica, ma dimentica della funzionalità». Primo principio lapalissiano: disegnare automobili significa tenere conto delle esigenze di tutti e di tutte le età.
Secondo principio non più derogabile: la sostenibilità e il modo in cui l'elettrico impatta sul design. «Le evoluzioni tecnologiche sono sempre uno stimolo positivo, una sorpresa che influisce sugli ingombri. La trazione elettrica concede un maggior spazio fruibile, anche perché ormai abbiamo superato l'idea che un mezzo sia brutto se è alto. Il che permette di sistemare nella parte bassa del veicolo tutto ciò che è ingombrante, come le batterie», spiega. Oggi il design dell'auto è fortemente condizionato dalle decisioni dei legislatori, che influenzano la progettualità sia sotto il profilo dei limiti di velocità sia sugli standard di sicurezza. «Ben venga il rispetto dell'uomo e della società, ma che si detti una linea! Il compito di un designer è di seguire e adattarsi alle logiche che disciplinano la sicurezza. Ovvio che deve cercare di proporre qualcosa di intelligente, ma sempre nella direzione della semplificazione. Ha senso che un tram, ad esempio, abbia l'estetica di un razzo spaziale, quando la logica imporrebbe una discrezione anche nel disegno? La cosa avrebbe senso con un treno ad alta velocità, che necessita di penetrare l'aria, ma non certo in un contesto urbano».
Il terzo principio che ispira tutte le risposte di Giugiaro è la necessità. Vietato inquinare visivamente, ovvero aggiungere solo quello che serve. Un grande architetto di interni come Antonio Citterio, proprio sullo scorso numero di How to Spend it , faceva osservazioni simili sul design per la casa, ribadendo il principio che “un divano è un divano” e che occorre “fare, non strafare”. Ma un conto è disegnare oggetti pensati per il comfort e il relax, altro è progettare la velocità su strada. Dall'uomo che ha ideato alcune icone della libertà e del piacere di guida, dalla Maserati 4200 Spider alla Ghibli per fare solo due esempi, ci aspettavamo un punto di vista completamente diverso. «Dovremmo metterci un po' d'accordo sulla funzionalità di chi usa l'auto, che è un mezzo di trasporto: non si dovrebbe giocare a chi propone l'impugnatura, il cambio, le frecce più strambi e chi più ne ha più ne metta. Se l'utilizzatore ogni volta che sale su un'auto nuova, deve imparare da capo a usare il computer di bordo, finisce poi per utilizzare il proprio cellulare, sia per la musica sia per cercare una strada. C'è un eccesso di tutto, con una tale capacità tecnologica e ricchezza di servizi da risultare strabiliante. Quello che ho in macchina non ce l'ho neanche nella casa più ricca di un quartiere come i Parioli!».
Inevitabile chiedergli, a questo punto, che cosa si può davvero considerare stile e quali sono i trend del momento destinati a durare. «I prodotti fatti con cura e con intelligenza. Certamente non vogliamo possedere dei mezzi che servano solo per spostarci, l'auto è un elemento di grande forza economica e anche di gioia nel rappresentarci. Ogni persona, a seconda della propria classe e posizione, tende ad avere il meglio. Ma il lusso è qualcosa che sta anche nella capacità di comprenderlo». È un fatto di cultura e di conoscenza, ma anche di logica. «Come prendere utilizzarla per le sue potenzialità, se non su un circuito. È come acquistare un quadro di valore, ma non poterlo mostrare a nessuno».
L'estetica di oggi è attenta ai grandi volumi. Stiamo dimenticando il piacere del coupé sportivo o della berlina a favore di monovolumi e suv. «Quella dei suv non è una moda, è una necessità logica di contenuti. Ovvio che una volta superato l'imbarazzo della vettura alta, ci si adoperi per renderla ricca, giustificabile e appetibile». Il difetto è che troppo spesso, per una questione puramente economica e di strategia commerciale, i produttori finiscono per copiarsi uno con l'altro. «Il volto dell'uomo è vecchio di millenni, noi istantaneamente vediamo le differenze tra un viso e un altro viso, invece la maggioranza delle persone non riesce a distinguere tra una vettura e l'altra come pretenderebbero i designer. La gente comune non ha il tempo e il modo di riflettere» e il percepito è che le auto di oggi si assomiglino tutte. Invece la linea del design parla non solo del suo progettista, spesso racconta la storia di un'epoca e del Paese.
A Giugiaro quali fra i suoi pezzi storici piacerebbe reinventare oggi? «Sono talmente tanti che non saprei. Mi sono dedicato al brand Lancia e ovviamente ricordo la Thema. Quest'anno ricorrono i trent'anni dell'attentato a Falcone, che era proprio a bordo di una Lancia quel giorno… E poi la mia Delta, che ha fatto la storia dei Rally e oggi è diventata una classica ricercatissima... Dato che è sempre l'uomo che gestisce tutto, così come cambiano le società cambiano anche le vetture». Ma si può ancora dire o inventare qualcosa di nuovo? «Quest'anno compio 84 anni, ma con mio figlio Fabrizio abbiamo ancora tanto da fare e perché no… anche ridisegnare nuove icone!».
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