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Giorgio Napolitano, il capo dello Stato «politico» dalla fede europeista

Il suo settennato (poi estesosi a nove anni) è stato decisamente improntato a un approccio fortemente politico

di Dino Pesole

Giorgio Napolitano (Ansa)

4' di lettura

Quando, il 10 maggio 2006, venne chiamato alla massima carica dello Stato (al quarto scrutinio con 543 voti), ben pochi avrebbero previsto che per la prima volta nella storia della Repubblica proprio all'ex presidente della Camera ed ex ministro dell'Interno nel governo Prodi, parlamentare di lungo corso ed esponente della corrente “migliorista” del Pci, sarebbe stato chiesto un inedito prolungamento del suo mandato.

Poi, come si è visto con la rielezione di Sergio Mattarella, quella scelta non sarebbe stata un' “eccezione”, non espressamente prevista dal dettato costituzionale ma nemmeno inibita in via di principio, nonostante sia Napolitano che Mattarella avessero chiaramente espresso un orientamento contrario alla rielezione.

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Allora, nella convulsa primavera del 2013, che seguì alle elezioni il cui esito determinò un'esigua maggioranza al Pd allora guidato da Pier Luigi Bersani, la classe politica imprigionata da veti incrociati e dai riflessi sullo scenario nazionale di tensioni interne ai partiti (nel Pd, prima di tutto) non riuscì ad esprimere un sufficiente consenso nell'individuazione del nome del nuovo presidente della Repubblica, dopo le clamorose bocciature di Franco Marini e di Romano Prodi.

La rielezione al Colle (suo malgrado)

E così la scelta cadde proprio sull'allora ottantottenne Napolitano, che alla fine del “normale” settennato si era già serenamente attrezzato a svolgere le sue funzioni di senatore a vita. Napolitano (come Mattarella nove anni dopo) non poté sottrarsi a questa nuova “chiamata” nell'interesse del Paese. E ottenne ben 738 voti, a certificare l'assoluta emergenza in cui ci si trovava.

«Come voi tutti sapete - esordì nel suo intervento davanti al Parlamento - non prevedevo di tornare in quest'aula per pronunciare un nuovo giuramento da presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l'autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, sia l'alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale».

Ma eravamo in piena emergenza istituzionale. Il suo monito risultò forte e chiaro: “imperdonabile” la mancata riforma della legge elettorale del 2005, il cosiddetto Porcellum.

«Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana».

Il passaggio delle consegne a Mattarella

Si potrarrà per due anni, il supplemento di mandato di Napolitano. Poi le dimissioni per lasciare il testimone a Sergio Mattarella.

Anni complessi, quelli di Napolitano al Colle, in cui a più riprese proprio al Quirinale è stato attribuito quel ruolo di “supplenza” nei confronti della paralisi della politica che ha finito per conferire al Colle più alto un margine di azione, tra moral suasion e interventi diretti ed espliciti, che rientrano in quelli che i costituzionali definiscono i “poteri a fisarmonica” del Capo dello Stato.

La crisi dell’autunno 2011

Un esempio tra tutti, quando nel tragico autunno del 2011, nel pieno della grave tempesta finanziaria che aveva portato il Paese a un passo dal baratro, spettò proprio a lui guidare dal Colle la difficilissima transizione dal governo Berlusconi al governo Monti.

Governo di emergenza, che Napolitano diresse prima con la nomina di Monti a senatore a vita poi con l'incarico a formare il nuovo Governo. In quella difficile stagione, d'oltreoceano e nelle capitali europee, proprio a Napolitano si rivolsero i nostri partner, per avere rassicurazioni quando il vascello italiano sembrava barcollare vistosamente.

Fede europeista

Assente negli ultimi tempi dai banchi del Senato per evidenti motivi di salute, non aveva per questo perso il vigore, la passione e la costante attenzione all'evolversi della situazione politica.

Un settennato (poi estesosi a nove anni) il suo decisamente improntato a un approccio fortemente politico, ancorato sulla ferma difesa dei principi costituzionali ma senza per questo mai indulgere a un atteggiamento classicamente “notarile”.

Autentica e sincera passione per la politica, senso dello Stato, in una personalità a tutto tondo, che ha suscitato anche critiche e riserve (da parte della Lega e non solo).

Dopo il settennato di Ciampi toccò a lui guidare le istituzioni in una fase di crescente incertezza e fibrillazione, avendo sempre davanti a sé il faro della convinta e assoluta fede europeista, se pur accompagnata da espliciti e ripetuti richiami a rafforzare le istituzioni europee e a dar vita a una vera unione politica, perché la moneta da sola non può bastare a creare quel necessario cemento che dalle istituzioni deve trasferirsi ai cittadini europei.

L’apprezzamento all’estero

Di recente ha seguito con attenzione le grandi novità intervenute in sede europea per effetto della pandemia (dalla sospensione del Patto di Stabilità al Recovery Fund), e crescente preoccupazione per la nuova grave emergenza determinata dal conflitto in Ucraina. Di certo una personalità di assoluto rilievo, di primissimo piano, molto apprezzata dai partner europei e oltreoceano. Mattarella ne ha preso il testimone, con tutt'altro timbro e modus operandi, ma in assoluta continuità nell'approccio europeo, nel pieno rispetto delle prerogative parlamentari e della dialettica interna ai partiti, che pur sono stati a più riprese anche non troppo velatamente criticati.

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