Giornali e libertà di stampa, in Europa si sta peggio che in America Latina
Libri e libertà, giornali e informazione. I quotidiani perdono copie e il potere delle piattaforme digitali e le fake news minacciano la libertà di stampa.
di Roberto Da Rin
3' di lettura
Credibilità erose, equilibri ribaltati e …nuove geografie informative. Nessuno avrebbe immaginato, solo pochi anni fa, che l'Europa potesse patire minacce alla libera informazione ben peggiori di quelle dell'America Latina. E invece il Vecchio continente scivola nel buco nero della disinformazione, nella minaccia dei trolls, zona grigia tra pace e conflitti.
I cahiers de doléances sono vari: l'asimmetria informativa tra Google, Facebook, Amazon e i media tradizionali; l'incapacità dei media di avviare un negoziato congiunto con i big data; la difficoltà di legiferare che incontrano i singoli Paesi e l'Unione europea. Last but not least i cyberattaccks, un tempo riconducibili alla delinquenza privata, oggi minaccia alla società e alla stabilità democratica.
Varsavia e Budapest, epicentro della crisi
L'Europa, dicevamo. Intimidazioni che non arrivano da dittature ma da suffragi universali; è il caso di Polonia, Ungheria che costituiscono gli esempi più macroscopici di violazione della libertà di stampa. A Varsavia e a Budapest i media di proprietà dello stato trasformati in mezzi di propaganda mentre lo spazio residuale occupato dalla stampa libera è assediato dalla diffamazione governativa, dai Tribunali che intimidiscono gli editori con multe salatissime per presunti delitti tributari.
In tre parole una rivoluzione antiliberale in progress.
La vittimizzazione dei giornalisti impedisce però di cogliere gli aspetti meno palesi della crisi, ovvero la responsabilità dei professionisti del mestiere: il web, ovviamente frequentato dai giornalisti che spesso annoverano migliaia di fan, diventa una trappola logica in cui i giornalisti stessi rimangono inchiodati e asserviti alla dittatura del presente, i follower. Chi scrive per compiacere i propri fan evidentemente tradisce il mestiere e la professione.La crisi del giornalismo, riflesso della crisi politica politica dove è palese la debolezza degli Esecutivi; mentre sul fronte degli elettori vi è un progressivo il ritiro della fiducia.
Apatia, indifferenza e rabbia pervadono ampie fasce di popolazione. Si è parlato di tutto questo a Madrid nel “5° Congresso dei media, Ue e America Latina, 2021”, presenti una rappresentanza di giornalisti delle principali testate europee e latinoamericane. L'evento, organizzato da Prestomedia Group con Vocento, principale gruppo editoriale spagnolo, con la collaborazione della Commissione e del Parlamento europeo, ha denunciato i pericoli e le distorsioni più eclatanti.L'America Latina, con l'eccezione del Brasile, in cui il presidente Jair Bolsonaro ha ripetutamente infangato e deriso i giornalisti, pare godere di una stagione migliore rispetto al Vecchio Continente. Una delle domande più cogenti è questa: la società, il termine deriva dal latino societas, comunità di soci, per quanto tempo potrà sopportare le fake news ?I media tradizionali hanno iniziato ad affrontare, pardòn subire, la rivoluzione digitale, almeno 25 anni fa; il sociologo americano Clay Shirky ci ricorda che la società non ha bisogno dei giornali, ha bisogno di giornalismo. Peccato che l'ultimo Digital News report del Reuters Institute rilevi che i social media, utilizzati come fonte di notizie, si attestino al 41%. Le prime sei piattaforme Facebook, Twitter, Whatsapp, Youtube, Messenger e Instagram occupano spazi immensi. Il pubblico più giovane utilizza i social media come mezzo principale per accedere alle notizie. E il 68% si informa dgli smartphone, il doppio rispetto a nove anni fa.
L'ecologia dell'informazione
Eppure, in questo contesto poco rassicurante, vi sono sprazzi di ottimismo. Gli esempi più virtuosi ci arrivano da chi ha puntato sull'ecologia dell'informazione, offrendo notizie accurate e verificate, sapendo creare una comunità con cui si è stabilito un rapporto di fiducia. Investendo nel dialogo con il pubblico. I modelli su cui ispirarsi sono i podcast, i documentari, le newsletter, il fact-checking. Un'altra vena di ottimismo ci viene fornita da Papyrus, un bel libro di Irene Vallejo, che percorrendo le rotte del mondo antico, ci ricorda che l'uomo dopo aver scritto su pietra, fango, legno e metallo, vedeva il linguaggio prendere casa nella materia viva. Il primo libro nacque quando le parole trovarono rifugio nel midollo di una pianta acquatica. E il libro divenne subito un oggetto flessibile, leggero, pronto a viaggiare e vivere avventure. Prima dei giornalisti, a diffondere informazioni c'erano cantori, scribi, miniatori, traduttori, venditori ambulanti, insegnanti, maestri, spie, ribelli, suore, schiavi, avventurieri...Le trasformazioni sempre problematiche e foriere di preoccupazione. Se ci può consolare, vale la pena ricordare che i filosofi greci contestavano l'utilizzo della carta che avrebbe consentito di raccogliere idee, leggerle, ripeterle e archiviarle. Il libero gioco dei miti, che circolavano oralmente in un intreccio di versioni affascinanti, sarebbe stato ostacolato. Insomma un impedimento al filosofare.
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