il libro

«Giorni da Milan», amari o bellissimi ma comunque rossoneri

Dal discorso di Rivera a Cagliari a Sheva che trafigge Buffon. Un libro mette in fila pezzi di storia della squadra che portò il calcio a Milano: 120, come gli anni di storia del club

di Alberto Annicchiarico

Milan, un film lungo 120 anni

4' di lettura

Diciamoci tutta la verità. Di questi tempi non ci sarebbe nulla da festeggiare per i milanisti, se non la storia dei 120 anni dalla fondazione dell’ex club più titolato al mondo. Una tiritera, quest’ultima, cara al geometra Galliani, quello della notte nera nerissima di Marsiglia (ricordate? Si spengono i riflettori, lui fa ai suoi via via che si vince a tavolino, ma poi finisce male malissimo per il Milan, fuori dalle coppe per un anno).

Da Silvio ai cinesi diversamente squattrinati
Correva l’anno 1991 e imperversava (un grande Billy Costacurta ha poi ipotizzato che l’ordine scellerato fosse arrivato proprio da Arcore) il presidente che più ha dato e più ha tolto ai colori rossoneri, alias Silvio Berlusconi. Che ha dato di più, lo sappiamo bene: coppe, scudetti, campioni, palloni d’oro. Con Berlusconi il Milan ha fatto la storia del calcio. Sempre da Berlusconi, duole dirlo anche di più, il Milan è stato declassato - in poco più di un un quinquennio - a club provinciale, senz’anima né ambizioni. La dismissione iniziata nel 2012 con la vendita di Ibrahimovic e Thiago Silva è stata l’atto d’avvio di una demolizione scientifica, che ha portato a vendere un pezzo di storia del grande calcio europeo a un misterioso cinese diversamente squattrinato. Il signor Li Yonghong, indagato dalla procura di Milano per false comunicazioni, è riuscito nel miracolo di fare tornare nelle casse della Fininvest poco meno della cifra (830 contro 905 milioni) che Silvio aveva speso in vent’anni per il club calcistico più antico di Milano. Per uno con il suo patrimonio personale - 6,3 miliardi di euro secondo Forbes - non è andata poi tanto male.

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L’epoca Elliott
E qui veniamo all’oggi. Una società in mano a Elliott Management, un fondo multimiliardario (grosso modo 35 miliardi di dollari di asset under management, come dicono quelli saputi di cose finanziarie), che in meno di due anni ha riempito la squadra di giocatori mediocri e senza spirito da Milan. Se andiamo a San Siro (il Meazza è roba di quelli là, non nostra) cosa vediamo oltre a undici tipi svagati che vestono quasi per caso la maglia rossonera? La società è molto debole, al punto che si fa passare per evento degno di celebrazione l’intitolazione al fondatore del Milan, l’inglese Herbert Kilpin, quello che ha portato in Italia le regole del football britannico, come ricordato da Antonio Carioti sul Corriere della Sera, nientemeno che di una squallida rotatoria di periferia.

C’era una volta la Fatal Verona
Ok, premessa lunghetta, ma necessaria. Chi scrive è milanista da quando le braghette bianche e i bellissimi calzettoni neri con il risvolto rosso li indossavano gente come Gianni Rivera (non lo cito per primo a caso, sia chiaro), Schnellinger, Cesare Maldini, Pierino Prati. Ho attraversato il deserto degli anni più bui, dalla fatal Verona che ci costò nel 1973 uno scudetto, alla retrocessione in B per il calcio-scommesse nel 1979-80 e sul campo due anni dopo all’ultima giornata. Cose che quelli nati negli anni 80 e che sono cresciuti con il Milan del tycoon di Arcore non possono lontanamente immaginare.

Quel discorso di Rivera a Cagliari
Ci pensano quelli di «Comunque Milan» (maestri di ironia su Twitter e Facebook, reduci dal volume Facce da Milan e incerti se dare vita a o meno a una trilogia) a metterci una pezza. In Giorni da Milan - 395 pagine fitte di ricordi raccontati in punta di penna, fra gli altri, da Paolo Madeddu, Giuseppe Pastore, Andrea Saronni e Ilaria Calamandrei - ci sono anche il mitico discorso di Rivera a Cagliari negli spogliatoi del Sant’Elia per dire forte e chiaro che con quegli arbitri non avremmo mai più vinto uno scudetto (indovinate contro quale squadra con le righe bianche e nere, eh sì, non ci sarà mica solo il gol di Muntari a farci incazzare per molti anni ancora). Ci sono i sei minuti sei giocati da un pallone d’oro (sempre lui, l’Abatino) in una finale dei Mondiali. Un tal Kakà che si affaccia a una finestra in centro a Milano e molti di noi a versare fiumi di lacrime. Superpippo Inzaghi che la mette a modo suo, facendola rotolare lentissimamente, al signor Pepe Reina in una certa finale ateniese, ovviamente vinta (per altri vincere le finali di Champions resta tuttora un tabù mica da ridere).

L’eterno fantasma di Milan-Cavese
Ci sono i festeggiamenti pazzi per il ritorno alla vittoria in campionato il 15 maggio 1988. Camei sulla nazionale azzurra tinta di rossonero a Pasadena 1994 e il segreto terrore che un giorno una madre possa rivelare alla figlia di essere interista. Fino, eh sì, all’eterno fantasma di Milan-Cavese. In tutto 120 momenti (120 come gli anni dell’anniversario triste, ma vabbè, proviamo a vivercelo bene) per rivivere la passione che, a dispetto di tutto, ancora ci spinge a essere degli incorreggibili milanisti. Ehi, stavo dimenticando la copertina: sì, c’è Sheva che manda la palla da una parte mentre Buffon si tuffa dall’altra. Champions a Manchester, 28 maggio 2003. È la foto di sempre della storia del Milan? Beh, questo decidetelo voi.

Comunque Milan
GIORNI DA MILAN
120 momenti storici da rivivere per celebrare una squadra leggendaria
Edizioni Interno4
16 euro

Riproduzione riservata ©

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