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Giovani, imprese e lavoro: una ricetta per una politica smemorata

Troppo spesso il nostro Paese guarda avanti tramite lo specchietto retrovisore. Anche in questa campagna elettorale agli sgoccioli, i temi riguardanti i giovani, le imprese e il lavoro sono rimasti non in secondo, ma in terzo piano

di Manuela Galante

(AdobeStock)

4' di lettura

Troppo spesso il nostro Paese guarda avanti tramite lo specchietto retrovisore. Anche in questa campagna elettorale agli sgoccioli, i temi riguardanti i giovani, le imprese e il lavoro sono rimasti non in secondo, ma in terzo piano. Nel corso del mio ultimo intervento, a nome dei Giovani Imprenditori delle Province di Venezia e Rovigo, ho rivolto un appello alla politica, nazionale e locale, affinché riporti la propria attenzione su questi temi.

Il prossimo esecutivo è chiamato a trovare delle soluzioni, collaborando con le istituzioni e i partner europei, ad alcuni grandi problemi che chi fa impresa e lavora ha ben presente. In primo luogo la questione energetica: la possibilità di un razionamento si fa sempre più concreta, anche perché da decenni siamo privi di una politica sul tema, auto-condannandoci ad una dipendenza pressoché totale dall'estero. Pur apprezzando le iniziative intraprese dal Ministro Cingolani, dobbiamo trovare una soluzione di lungo periodo, perché già prima dell'inizio della Guerra in Ucraina le nostre imprese pagavano un costo superiore rispetto ai principali competitor europei. Lo stesso ministro ha più volte ribadito che le rinnovabili sono una priorità irrinunciabile, precisando che è impensabile vivere di “sole e vento”. La partita del gas si gioca a Bruxelles: l'Unione europea deve trovare il consenso necessario attorno alla proposta italiana di un tetto al prezzo, favorendo al contempo la creazione di un centro di acquisto unico, così come fatto per i vaccini, facendo valere il proprio peso specifico.

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Il secondo tema riguarda l'impennata inflazionistica e delle materie prime. Tutti fattori che concorrono a comprimere ulteriormente i nostri margini, già oggi soffocati da una pressione fiscale e contributiva sempre più elevata, che disincentiva la crescita dimensionale e l'incremento degli organici. Il terzo, invece, è soprattutto conseguenza della ripresa seguita alla prima fase del Covid, cioè le difficoltà di approvvigionamento e i colli di bottiglia nella catena di fornitura che tutte le imprese stanno sperimentando.

Tutti questi eventi hanno rivoluzionato il mondo che avevamo conosciuto negli ultimi anni, sgretolando le nostre certezze e obbligando chi fa impresa, e lavora, a rivedere totalmente abitudini e priorità nell'arco di soli due anni. Per natura, sia come giovani che come imprenditori, siamo portati a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno: è questo spirito che ci ha consentito di superare queste difficili sfide. Ma questo è anche lo spirito che muove la nostra classe politica? Se così è, lo dimostri.

La classe dirigente deve mostrare maggiore consapevolezza circa le straordinarie potenzialità del nostro Paese. I prodotti e i marchi del “made in Italy” sono presenti, spesso più di quelli dei concorrenti, entrando nelle case e nelle vite di miliardi di persone. Pensiamo anche a tutto ciò che si vede meno: dalla componentistica per l'automotive, parte integrante delle catene del valore internazionali, alla meccanica di precisione, fino ai valori intangibili che ruotano attorno ad uno stile di vita, quello italiano, che suscita ammirazione e invidia ovunque. Un successo che le aziende italiane hanno conquistato da sole, registrando anche nel primo semestre di quest'anno una crescita dell'export del 22%, superando Germania e Francia.

In particolare, ai candidati che sono venuti in tour nel Nord Est ricordo che quando parliamo di tutela e valorizzazione del made in Italy, perché l’industria e le specializzazioni produttive del Nord Est sono una delle principali leve per l’export e la valorizzazione dell’Italia nel mondo. Al contempo, però, occorre attuare il prima possibile la legge quadro sull'autonomia approvata oltre cinque anni fa dal 98% attuando un principio costituzionale, quello dell'autonomia differenziata, da cui ne deriverebbe semplicemente una maggiore assunzione di responsabilità a livello locale. Non entrando in alcun modo in contrasto con quanto detto in precedenza, poiché consentirebbe di favorire le specializzazioni territoriali.

Poi va sostenuto il lavoro, su cui si fonda la nostra Repubblica: sostenerlo significa sostenere le imprese che, in questo momento, hanno bisogno soprattutto del contributo che possono portare i giovani. Necessitiamo urgentemente di competenze tecnico-scientifiche e di rendere più fluido il passaggio studio/lavoro tramite esperienze in azienda, perché serve un sistema scolastico e universitario maggiormente integrato col mondo del lavoro, in grado di trasmettere ai giovani le competenze e le qualifiche richieste da un mondo in continua evoluzione. Tutti strumenti che ci consentono di valorizzare il capitale umano di cui disponiamo, evitando “fughe di cervelli” all'estero che non ritornano.

Sul cuneo fiscale è necessario un intervento consistente. Finché non vi sarà una vera e propria operazione sistemica sconteremo sempre un gap in termini di competitività, che erode la nostra marginalità, ma che soprattutto non rende giustizia ai giovani e ai lavoratori, perché quelle risorse devono andare, prima di tutto, a loro. Dobbiamo aiutare i giovani e le persone a lavorare, non a stare a casa. Misure che disincentivano l'offerta di lavoro, come il Reddito di Cittadinanza, pongono un freno allo sviluppo del nostro Paese. Infine, uno Stato moderno, efficiente e giusto non può prescindere da una burocrazia più snella e funzionale, al servizio del cittadino e delle imprese.

Ma niente di tutto ciò sarà mai possibile se la politica non contribuirà a costruire un retroterra culturale che contrasti una cultura anti-impresa largamente diffusa, e che una parte non marginale della classe dirigente contribuisce a diffondere: sono le aziende a creare lavoro, non le leggi. Ma anche gli imprenditori italiani sono chiamati a fare uno sforzo, facendo squadra, collaborando, remando uniti per stimolare il cambiamento e l'innovazione, sfidando l'inerzialità del sistema. Il futuro delle nostre aziende dipende dalle basi che poniamo oggi. Abbiamo bisogno di una politica che la smetta di essere d'ostacolo favorisca lo sviluppo: impresa significa lavoro, lavoro significa benessere, benessere significa tenuta sociale, progresso, sviluppo, cultura.

Anche in questi anni tremendi, le aziende italiane non hanno mai mollato, tenendo la barra dritta e la nave a galla. Ma il mondo dell'impresa italiano non deve e non può sentirsi così solo in una fase così delicata.

Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Venezia e Rovigo

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