stile e tendenze

Giovani stilisti, agili e indipendenti: chi avrà successo nel nuovo decennio?

di Angelo Flaccavento

4' di lettura

Azzeccare il futuro è impresa ardua, anche in tempi di algoritmi predittivi e di ogni sorta di tecno-astuzia atta a dirigere e plasmare le coscienze. Lo è in modo particolare nella moda, dove pure la sfera di cristallo è necessità, non accessorio fiabesco, e ci si muove in costante differita, anticipando ogni cosa di sei mesi o poco più, salvo poi buttare tanto lavoro immediatamente in pasto ai media digitali (ma questa è altra storia). Il vestito, pelle mutevole che ci scegliamo da soli e che possiamo cambiare quando ci pare e piace sortendo i più diversi effetti, è un oggetto intimo, che sollecita reazioni imprevedibili, inspiegabili e completamente irrazionali.

Piace non si sa perché: per bellezza, per aspirazione, per convincimento, per adesione al modello dominante, per cedimento alla campagna pubblicitaria. A causa di tutto ciò, anticipare il successo di una ricetta o di una visione è affair rischioso. A volte basta l’idea, altre ci vuole marketing a tutto spiano. Tra pochi giorni inizia un nuovo anno, e pure una nuova decade, con quel doppio 20 che pare quasi un mantra, o una chiave di svolta. Stilare liste di brucianti novità è automatico. I figuranti decuplicano, i confini del sistema si espandono, mentre la moda si barcamena sempre più tra intrattenimento e comunicazione.

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Eppure sono i prodotti a muovere tutto, e questi richiedono autori. Ogni stagione si va alla ricerca del nome nuovo su cui puntare, del talento da promuovere. Lo si fa con appetito distratto, perché la dura lex è che la stagione successiva di nomi se ne cercheranno altri, consumando e stritolando con una spietatezza che nemmeno Kronos con la propria progenie. Però le visioni richiedono tempo per esser tarate a dovere, vanno affinate con dovizia: buona la prima piace solo ai frettolosi. Nella marea di talenti presunti, solo pochi sono talenti veri, oggi che la bravura da tutti celebrata, ma di corta gittata, è far parlare di sé.

Selezione parziale

Tutto questo per dire che i sei nomi individuati come degni di nota per l’anno che verrà, e si immagina anche per i successivi, sono una selezione indubbiamente parziale, frutto di uno scandaglio ad ampio spettro tra quanti convincono - per il momento almeno: cambiare opinione è cosa buona e giusta, e nella moda è una salutare forma di sopravvivenza del pensiero vigile - perché reagiscono alla complessità del momento a modo proprio, che sia con un modello di business completamente controcorrente rispetto al gigantismo anabolizzato dei commerci globali, che sia con una estetica integerrima, con un approccio creativo fatto di campionamenti o di responsabilità ambientale, che sia con un focus sulla purezza del design – benché del design, anche tra i fashion designer, si siano ormai dimenticati quasi tutti. Da Milano a Israele passando per Istanbul e Parigi, si parla di piccoli e indipendenti, perché mai come oggi piccolo è bello, agile, autentico.

Geografia senza frontiere

Marco Zanini, dopo un percorso di tutto rispetto iniziato da Versace e proseguito con ruoli da direttore creativo presso Rochas, Schiaparelli e il breve ma brillante esperimento Santoni Edited By, opta per la scala micro, che vuol dire team ridotto all’osso – one man band, in pratica – e rapporto diretto con pochi, selezionati clienti. Invece di parlare a tutti – stolta vulgata generalista – sceglie di parlare a quanti gli sono affini, e lo fa con una collezione ben calibrata di pezzi realizzati con cura, espressione di una eleganza tersa e serena, velata appena di nordico spleen.

Se Zanini è il degno erede della miglior tradizione del prêt-à-porter italiano, Dorian Tarantini e Matteo Mena rappresentano l’oggi: professionisti solo in parte (Tarantini è un dj, Mena è un designer di accessori) partono dalla comunicazione per plasmare il design. 1910 Borbonese è il total look in edizione limitata che concepiscono per lo storico marchio milanese, incollando con verve postmoderna nostalgie anni Ottanta e kitsch da videoclip.

Hed Mayner, vincitore del premio Karl Lagerfeld all’ultimo Lvmh Prize, vive e lavora a Tel Aviv ma sfila a Parigi. Disegna abiti da uomo, ma i volumi sono così ampi, le forme così elementari, i colori così naturali, da andar bene per tutti, senza distinzioni di genere. Adotta un lessico puro, fremente, multiculturale.

Matthew Williams è americano. Da poco vive a Milano, deve la propria fortuna ad un business partner ferrarese (Luca Benini di Slam Jam) ed è anche parte della famiglia Moncler Genius. 1017 Alyx 9SM, questo il nome del suo marchio, è un esperimento radicale di funzionalismo urbano: teso, crudo e sofisticato, esplora l’idea che less is more puntando sul bello come utile, in qualsiasi condizione.

Spencer Phipps, americano anche lui, è un paladino della coscienza ambientale. Trasparenza e tracciabilità sono il valore aggiunto di collezioni eclettiche che uniscono la ricerca della performance estrema ad un certo esibizionismo sensuale.

Dilara Findikoglu, infine, viene da Istanbul, ma vive e lavora a Londra. Intrisa di misticismo e horror, un occhio Vivienne Westwood e uno ad Alexander McQueen, tinge il gotico di rosa e di pop, tenendo alto il vessillo della espressività teatrale.

Sei autori, sei visioni antitetiche, unite da un tratto comune: la capacità di mescolare i segni, perché l’evoluzione nasce dal meticciato. Nella moda la razza pura, grazie al cielo, non esiste.

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