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Giro, anche in tappa dimezzata Bernal stacca tutti. Caruso secondo in classifica

Nel giorno del «tappino» Sacile-Cortina d’Ampezzo, il colombiano si conferma il signore del Giro d’Italia

di Dario Ceccarelli

(LAPRESSE)

3' di lettura

Eccolo qua, il Signore del Giro, il padrone assoluto della corsa. Si chiama Egan Bernal, è colombiano, ha 24 anni e quando la strada s’impenna non c’è niente da fare: è il più forte. Il più determinato. Il migliore, insomma. E lo ha dimostrato anche in questa dimezzata tappa dolomitica che, a causa del maltempo, si è trasformata in frazione corta e intensa con la cancellazione del Passo Fedaia e del Pordoi considerati a rischio soprattutto in discesa. In pratica al posto del cosiddetto tappone è andato in scena un «tappino» abbreviato di circa 60 chilometri rispetto al percorso originale di 212 chilometri da Sacile a Cortina d’Ampezzo.

Lo scatto sul Passo Giau

Bernal, anche con la tappa light, ha fatto quello che fa di solito: ha salutato la poco allegra compagnia e se n’è andato per i fatti suoi. Nel tratto più aspro, cioè sulle rampe del Passo Giau (nuova cima Coppi con i suoi 2233 metri dopo la cancellazione del Pordoi) il colombiano è scattato lasciando indietro i migliori che hanno risposto in ordine sparso. Un ritmo micidiale, quello della maglia rosa, che in pochi chilometri ha dato un nuovo scrollone alla classifica. Le vittime più illustri, a parte il belga Evenepoel, che sprofonda per una nuova crisi, sono il britannico Yates e il russo Vlasov arrivati al traguardo con più di due minuti di distacco. Si difendono bene invece Damiano Caruso (terzo al traguardo e secondo in classifica generale) ) e il francese Bardet (secondo traguardo) perdendo circa una trentina di secondi. Anche Giulio Ciccone, quarto, limita i danni con un ritardo di un minuto e venti.

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Lo «spettacolo» di Cortina

Lo spettacolo migliore lo offre comunque Bernal quando, dopo la picchiata, piomba a Cortina d’Ampezzo. A circa 50 metri, fradicio per la pioggia, si toglie la mantellina per mostrare urbi et orbi la maglia rosa. Con spericolati equilibrismi, nel tripudio dei tifosi colombiani, Bernal taglia il traguardo felice come se avesse vinto la lotteria. «Volevo fare spettacolo. Il freddo e le difficoltà mi esaltano. Che emozione! Questo è il ciclismo che mi piace. Alla partenza ero pronto a tutto e dico la verità avrei preferito correre la tappa originale. Ma pazienza… L'importante è onorare la maglia rosa. E credo di esserci riuscito».

Duro colpo alla concorrenza

In effetti, quello di Bernal, è stato un altro pesante colpo assestato alla concorrenza. Non siamo ancora alla dittatura, ma è evidente che la sua leadership si consolida di giorno in giorno. Soprattutto in queste tappe dove si può fare selezione. È legittima un’altra considerazione: senza tagli al percorso, Bernal probabilmente avrebbe inflitto ai suoi (presunti) rivali una lezione ancora più pesante chiudendo definitivamente il Giro. Che già così non lascia molte speranze. In classifica, secondo dietro la maglia rosa, c’è ora Damiano Caruso con un ritardo di circa due minuti e mezzo. l'inglese Carthy è terzo (+3’40”). Il russo Vlasov resta al quarto posto (+4’18”) mentre Simon Yates è quinto (+4’20”) davanti Giulio Ciccone, sesto con 4 minuti e mezzo di ritardo. Insomma, al momento non si vede un avversario in grado di impensierire Bernal, più attento a evitare colpi della strega (soffre di mal di schiena) che eventuali colpi dei suoi rivali.

Tagliare o non tagliare la tappa?

Dopo la corsa si è scatenato il solito dibattito sul fatto se sia stato giusto o meno tagliare due salite così importanti come il Fedaia e il Pordoi. L’organizzatore del Giro, Mauro Vegni, ha precisato che non potendo prevedere esattamente quali sarebbero state le previsioni meteo in quota si è preferito accorciare il percorso di comune accordo con le squadre. Poi però, come sempre succede quando le cose non precipitano (non ci sono state cioè condizioni estreme) sono cominciati i primi pentimenti. Vegni, mostrando quasi rammarico per la decisione, ha fatto capire che spesso che tra quello che dicono le squadre e quello che pensano i corridori c’è una certa differenza. E che alla fine, insomma, per evitare guai peggiori si è deciso di non correre rischi. «Il nostro obiettivo principale è portare in sicurezza i corridori a Milano. Per questo abbiamo pensato fosse meglio averne una tappa più corta e spettacolare , evitando due discese pericolose. Ognuno ha dovuto rinunciare a qualcosa per arrivare a una decisione comune e condivisa». Discussioni di lana caprina che avvengono a babbo morto, quando ormai è andato tutto bene. La tappa è stata bella ed emozionante. E anche significativa dal punto di vista della classifica. Non ci sono state scene da tregenda cui in passato il ciclismo ci ha abituati. Di eroi ne abbiamo avuti abbastanza. Una volta tanto è meglio così.

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