Gismondi 1754, in Borsa il gioielliere delle star
Arrivata alla settima generazione l'azienda, sbarcata a Piazza Affari, guarda all'estero. Massimo Gismondi: valori e principi d'impresa familiare
di Raoul de Forcade
3' di lettura
Sette generazioni di argentieri e gioiellieri che mai hanno smesso di tramandarsi il mestiere e un recentissimo sbarco in Borsa (a dicembre 2019) che ha trasformato un’azienda tradizionalmente familiare in una quotata del lusso, con 6 milioni di euro di fatturato e progetti di espansione soprattutto all’estero. Il tutto con un obiettivo in più: fare business nel mondo continuando a mantenere i valori e i principi di un’impresa familiare, con i dipendenti formati e consci di poter far carriera, i fornitori ben pagati e i clienti soddisfatti. Un’utopia? No, secondo Massimo Gismondi, ad dell’azienda, che ha portato la Gismondi 1754 a Piazza Affari.
Il capostipite e fondatore della storica argenteria genovese, Giovan Battista Gismondi, nasce proprio nell’anno che è diventato parte integrante del brand. Ma è nel 1763 che inizia il suo apprendistato di argentiere; e nel 1780 apre la sua bottega a Genova.
Inizia così una tradizione che si consolida nel tempo: lui stesso è fornitore di Papa Pio VI e della nobiltà genovese, in particolare dei Doria. E da allora la famiglia ha proseguito ininterrottamente l’attività. Nel 1798 viene realizzata un’icona della Vergine Maria tutt’ora conservata in Vaticano; nel 1880 la famiglia apre il primo negozio in via Galata . Massimo Gismondi, che appartiene alla settima generazione, nel 1995 entra in azienda e un anno dopo decide di concentrarsi sulla produzione di gioielli di alta gamma, aprendo la sua prima boutique. Il 2011 è segnato da una scissione: lo zio e la sorella prendono altre strade, mentre Massimo assume il controllo del brand Gismondi 1754 . Attualmente la società ha boutique di proprietà, oltre che nel capoluogo ligure, a Portofino, Milano e Sankt Moritz, nonché sei corner negli Stati Uniti (presso Neiman Marcus), un retailer nei Caraibi, uno a Napoli e uno a San Pietroburgo, e poi un franchisee shop a Praga. A gennaio l’azienda ha siglato un accordo per presentare i suoi gioielli nei multibrand store Maris Collective, in hotel e resort di lusso, dalla California, ai Caraibi, alla Costa Rica, alle Hawaii. È dei giorni scorsi, inoltre, un’intesa commerciale con il gruppo Alfardan del Qatar, specializzato in vari settori del lusso.I gioielli del marchio, peraltro, sono stati indossati da molte star, fra le quali Jane Fonda, Gwyneth Paltrow, Salma Hayek , Naomi Campbell e Alicia Keys, nonostante la società non riconosca alcun fee per l’indosso dei suoi pezzi. Massimo è l’ad nonché la mente creativa dell’azienda. Le sue idee, spiega, inizialmente prendono forma sulla carta, con alcuni schizzi che tratteggiano il progetto finale; e che vengono poi riportati al computer per essere sviluppati in cera o in resina. Questa è la fase preliminare alla produzione; poi entra in gioco l’esperienza artigianale, grazie al supporto di 10 orafi e tre incassatori, che hanno il compito di modellare i gioielli.
«Il business -sottolinea - va creato su valori. Occorre, in primo luogo, che i collaboratori siano felice di lavorare con noi. Per questo spendiamo circa 60mila euro l’anno in formazione, diretta non solo alla vendita del prodotto ma anche a trasmettere la filosofia che vogliamo portare al centro dell’azienda. Noi intendiamo vendere ai clienti quello loro vogliono veramente e puntiamo su prodotti tailor made. Da noi un cliente può spendere anche solo 2mila euro ma avere un gioiello personalizzato. Questo ci assicura dei rapporti stabili, che durano nel tempo». Questa stessa etica, prosegue Gismondi, «fa sì che lavoriamo con sei laboratori a Valenza con i quali coltiviamo un rapporto che ci porta indietro di 50 anni rispetto a quanto accade abitualmente oggi: i grandi marchi normalmente impongono prodotti standardizzati. Noi invece vogliamo che facciano prodotti non industriali, valorizzando le loro capacità e pagandoli quel che chiedono».
Il “trucco” è semplice, aggiunge Gismondi: «Vendiamo al 40-45% in meno di altri brand, perché la nostra catena è più breve. Il mercato delle pietre preziose è composto da cinque compagnie che le estraggono; poi ci sono 80-100 compratori che acquistano queste pietre alla cieca e le devono tagliare in modo da guadagnarci. Noi compriamo direttamente da questi e risparmiamo così un 30% circa sulle pietre. Poi ideiamo interamente il prodotto, mantenendo, così, bassi costi di progettazione. Tutto questo lavorando solo con aziende che hanno un accreditamento etico, ad esempio per l’estrazione dei diamanti».
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