Gismondi, nuova acquisizione entro l’anno
Massimo Gismondi. Dopo l’acquisto del marchio e di alcuni asset di Vendorafa, l’azienda genovese ha concentrato l’attenzione su una fabbrica italiana che lavora come terzista di grandi marchi. L’obiettivo è allargare il mercato e garantire la crescita di tutti i brand restando però un’azienda familiare
di Raoul de Forcade
3' di lettura
Gismondi 1754, storica impresa genovese che produce gioielli d’alta gamma, ha appena acquisito, con un’operazione dal 608mila euro, il brand Vendorafa, insieme ad alcuni asset, da Lombardi srl (controllata di Lvmh). Ma l’obiettivo è crescere ancora: entro l’anno in corso acquisirà, infatti, un’altra azienda italiana, con fabbrica annessa. A rivelarlo è Massimo Gismondi, patron della società quotata in Borsa all’Euronext.
In che misura l’acquisto di Vendorafa è un capitolo importante per Gismondi?
Intanto lo è dal punto di vista strategico e commerciale. Vendorafa è un marchio alto di gamma ma offre un prodotto diverso dal nostro e propedeutico allo sviluppo di Gismondi e viceversa. Mentre nei nostri gioielli sono le pietre preziose a prevalere, in quelli dell’azienda nata a Valenza è l’oro a valorizzare le pietre. Ci possiamo rivolgere, così, anche a clienti che cercano costi più contenuti: lo scontrino medio di Gismondi supera i 10mila euro, quello di Vendorafa sta entro i 5mila. Insomma, andremo conquistare una fetta di mercato che ci manca. Tra l’altro, l’azienda opera in mercati, in cui finora non eravamo presenti, come il Far East; può quindi rappresentare il primo passo per la penetrazione di Gismondi in quell’area. Lavora, ad esempio, da 15 anni in Giappone ma è anche da 20 negli Stati Uniti: negli Usa noi ci siamo solo da un quinquennio. E poi c’è l’aspetto dell’ottimizzazione dei costi; in questi ultimi anni, Vendorafa ha performato molto bene in termini di marginalità e pensiamo di gestire tutto con un unico ufficio di marketing e comunicazione, ma continuando a far crescere le due aziende con identità e marchi distinti. Non ci sarà confusione tra le due entità; del resto, entrambe hanno storie lunghe e importanti, la nostra 270 anni e Vendorafa 72 (fondata nel 1951, ndr).
Quindi l’acquisizione è stata un affare.
Ma non solo, c’è anche una ragione più sentimentale. Abbiamo acquistato Vendorafa da Lombardi, che è controllata da Lvmh, la quale non intendeva valorizzare la società. A loro il marchio non interessava, mentre gli importava molto della capacità produttiva dell’azienda, e perciò hanno tenuto la fabbrica. A noi, invece, interessava il brand ma anche alcuni macchinari, che infatti abbiamo acquisito, il come fare relativo ai gioielli, i disegni, il network di imprese terziste che lavorano per Vendorafa, la rete dei clienti e anche parte delle risorse umane. Perciò abbiamo assunto tre persone dell’azienda ma anche firmato un contratto con una fabbrica dell’hinterland valenzano che, da anni, opera per Vendorafa. Nel contratto è compreso il passaggio a noi di materali e tools: la prima tranche è arrivata dopo Pasqua e la seconda a fine aprile.
E dopo Valenza dove intendete andare?
Vorrei portare Gismondi su una ribalta globale, con il ruolo di paladino del vero made in Italy, cioè il fatto a mano, in Italia, da italiani. L’obiettivo, insomma, è crescere, anche per linee esterne con m&a ma solo coerentemente con quanto ho detto: non ho intenzione di trasformare la mia azienda in una multinazionale e non voglio vendere ma restare a capo di un’impresa familiare. Non a caso ho manager venuti qui da Bulgari e Pomellato, che cercavano una dimensione più a misura d’uomo.
Ma la Borsa?
L’approdo a piazza Affari ha consentito di triplicare il fatturato e stiamo pensando anche ad altri strumenti di finanza, potrebbe essere un aumento di capitale aperto o l’emissione di warrant. Resta il fatto, però, che a pilotare il progetto voglio essere io.
Parliamo di possibili m&a.
Sì. Entro il 2023 contiamo di chiudere un’acquisizione che ci permetterà di garantire la crescita di tutti i brand. Sarà un’azienda italiana e la acquisteremo impegnando un importo superiore a quello utilizzato per Vendorafa. Si tratta di una realtà che ha una fabbrica e lavora come terzista nella produzione di grandi marchi. Una strada che non vogliamo abbandonare. Né intendiamo internalizzare: le piccole fabbriche che hanno lavorato con noi finora continueranno a farlo.
Dunque, il faro da seguire è il made in Italy?
E le aziende familiari. Ci interessano, appunto, imprese italiane con una storia alle spalle. E il nostro intento è di mantenere, all’interno di queste realtà, le famiglie che le hanno create. Dando loro, però, la possibilità di fare progetti più importanti, di salire su una nave più grande, che magari consenta loro di navigare nell’oceano.
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