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Giuliani: «Stop a nuove regole sul private credit, a rischio il finanziamento delle Pmi»

Il fondatore della capogruppo: «Inasprire la normativa avrebbe una sola conseguenza: togliere alle imprese l’unica alternativa al finanziamento attraverso il canale bancario»

di Alessandro Graziani

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

«Sono assolutamente contrario a una stretta regolatoria sul nascente mercato del private credit. Inasprire la normativa avrebbe una sola conseguenza: togliere alle imprese l’unica alternativa al finanziamento attraverso il canale bancario che, per motivi regolamentari, non riesce più a servire bene tutte le Pmi. Bloccare lo sviluppo del private credit è un rischio per l’economia, soprattutto per quella italiana». Pietro Giuliani, fondatore e presidente di Azimut Holding, non ha dubbi: i progetti di riforma dello shadow banking, attualmente al vaglio delle Autorità di Vigilanza internazionali ed europee, non devono coinvolgere i fondi privati di credito. «Sono vitali per l’Italia». E in questa intervista al Sole24Ore spiega il perché.

Fsb, Fmi, Eba e Bce sono fiduciosi sulla tenuta delle banche ma si dicono preoccupati per i rischi finanziari che potrebbero arrivare, soprattutto dopo i maxi-rialzi dei tassi, dal poco regolato mondo del cosiddetto shadow banking. Perché lei si dice contrario a una stretta delle regole?

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Partiamo da qualche dato. Negli Usa il private credit è un mercato sviluppato che vale oltre 800 miliardi di dollari e rappresenta circa il 20% del credito alle imprese. In Italia, invece, siamo ancora su livelli minimi. Se guardiamo al neo lending erogato attraverso le piattaforme fintech, i prestiti alle imprese ammontano solo a 4,5 miliardi. Un dato che rappresenta l’1% del totale dei crediti alle imprese in Italia. Noi in questo comparto fintech siamo i leader, con una quota del 24%. Ma è evidente che si tratta di un mercato appena nato, che è destinato a essere soffocato sul nascere in caso di una iper-regolamentazione simile a quella delle banche.

Perché i fondi di private credit dovrebbero essere meno regolamentati delle banche? In entrambi i casi vengono concessi prestiti alle imprese. Un mestiere molto rischioso. O no?

Una premessa. Siamo una Sgr vigilata da Banca d’Italia e proponiamo investimenti alla clientela attraverso un prospetto informativo sotto il monitoraggio della Consob. Quindi siamo già soggetti a regolamentazioni ben precise. Vengo alla differenza con le banche. A loro le Autorità chiedono di avere capitale a protezione dei prestiti che vengono concessi utilizzando in gran parte la raccolta dei depositanti, ignari di come la banca impiega la loro liquidità.

E per i private credit invece...?

Nel caso dei fondi di credito è completamente diverso. I nostri clienti, consapevolmente e attraverso un prospetto informativo, decidono di investire una quota dei loro risparmi - noi suggeriamo entro il 15% del totale - nel credito alle Pmi puntando ad avere buoni rendimenti in un orizzonte temporale che può andare dai 5 ai 10 anni.

Concedere credito alle Pmi significa, di fatto, investire in asset illiquidi. Non è troppo rischioso per un risparmiatore?

Il rischio è sempre abbinato alle prospettive di rendimento che si punta ad avere. Ovviamente serve trasparenza, consapevolezza dei rischi e un’opportuna diversificazione del portafoglio. Noi crediamo che questa asset class abbia grandi potenzialità. Negli Usa è molto diffusa e noi negli Stati Uniti abbiamo varie partecipazioni in società che operano negli alternatives, tra cui Kennedy Lewis che da sola gestisce oltre 11 miliardi di fondi di private credit.

Si dirà: volete fare concorrenza alle banche, ma con regole più lasche. O no?

Non è così, per i motivi che le ho già detto: non operiamo nell'ombra, siamo soggetti vigilati. E il tema della concorrenza non esiste o è marginale, poichè il private credit è e sarà sempre più complementare alle banche. Guardiamo i dati recenti: l’ultima lending survey di Bce indica che la richiesta di credito da parte delle imprese dell’Eurozona è crollata al minimo da 20 anni, con maggior effetto sulle Pmi, inoltre a maggio il credito alle imprese in Italia è sceso del 2,3%. Non è solo un problema di domanda, ma anche di offerta che risente dei crescenti vincoli regolamentari. Ma chi finanzia in prospettiva le Pmi italiane escluse dall’offerta bancaria? A me sembra un vero e proprio campanello d’allarme per il sistema Italia. I fondi di private credit, che peraltro in alcuni casi vedono tra i promotori le stesse banche, sono una soluzione concreta. A patto che non siano stroncati sul nascere dalla iper-regolamentazione.

Difesa d’ufficio di un business da cui pensate di fare molti soldi?

Guardi, noi in Azimut siamo abituati a essere rapidi e flessibili. Se vediamo un'opportunità ci organizziamo velocemente e investiamo. Ma possiamo anche essere altrettanto rapidi nell’abbandonare un’iniziativa se, come in questo caso, gli eccessi normativi la dovessero rendere poco attraente. Il problema è più ampio e non riguarda noi ma il sistema-Paese: solo con lo sviluppo di nuovi operatori come i private credit sarà possibile garantire i finanziamenti alle Pmi che rappresentano una quota rilevante dell’economia italiana.

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