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Di fronte ad una domanda destinata ad aumentare nei prossimi anni soprattutto nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, assicurare un accesso all'energia per tutti che sia al tempo stesso efficiente e più sostenibile, è la sfida principale della transizione verso la decarbonizzazione. E il passo più importante va nella direzione di ridurre le emissioni nei trasporti, per esempio sostituendo i combustibili fossili con i biocarburanti, la cui richiesta secondo le stime dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, aumenterà del 28% entro il 2026.
In questo quadro, la strategia messa in campo da Eni per accelerare la neutralità carbonica nel settore dei trasporti in vista del 2050 è incentrata sullo sviluppo di filiere agricole maggiormente sostenibili per la produzione di biocarburanti. I biocarburanti sono ottenuti prevalentemente da materie prime di scarto (oli esausti da cucina, grassi animali e residui dell'industria agroalimentare, che oggi costituiscono l'85% della carica delle bioraffinerie di Venezia e Gela), più una parte residuale di oli vegetali ottenuti dalla spremitura di semi di ricino, cotone, croton. Eni prevede di aumentare la capacità di produzione delle sue bioraffinerie a oltre 3 milioni di tonnellate al 2025 e a oltre 5 milioni entro il prossimo decennio.
L'energia di Eni lega Italia e Africa
Per raggiungere il target, Eni ha firmato accordi in diversi Paesi africani, tra cui Kenya, Congo, Angola, Costa d'Avorio, Mozambico e Ruanda, e ha avviato sperimentazioni e studi di fattibilità in altre nazioni, tra cui Italia e Kazakistan, con l'obiettivo di sviluppare, congiuntamente coi governi locali, filiere per la produzione di agri-feedstock basate su nuovi modelli di economia circolare, con cui alimentare le sue bioraffinerie.
Il modello di business dell'azienda si sviluppa su due direttive: la stipula di accordi con gli agricoltori locali, ai quali Eni fornisce sementi adatte, mezzi moderni, corsi di formazione e supporto tecnico; e la fase di industrializzazione in cui la società entra in modo diretto nel processo costruendo i grandi agri-hub per produrre gli oli vegetali destinati alle sue bioraffinerie, oltre che mangimi e bio-fertilizzanti grazie alla valorizzazione dei sottoprodotti di lavorazione. Un modello che promuove un maggior rispetto dell'ambiente, quindi, ma anche dell'economia locale e delle comunità. È il filo rosso con cui Eni unisce agricoltura ed energia e che lega la nostra transizione a quella del continente africano.
Più sostenibilità su tutta la catena del valore
I progetti di agri-feedstock sono in linea con i più alti standard europei e internazionali di certificazione, a cominciare dalla Direttiva RED II che prevede che la produzione di biocarburanti non incida su quella alimentare e non comporti alcun cambiamento d'uso del suolo. Tali coltivazioni non interferiscono quindi con quelle alimentari esistenti, come cereali o canna da zucchero, né sulle risorse forestali.
I terreni individuati per la coltivazione in Africa sono per lo più aree abbandonate o degradate, in conseguenza di fenomeni come desertificazione, erosione, siccità e inquinamento, che vengono valorizzate grazie al nuovo ciclo di vita, generando importanti ricadute sugli agricoltori sia dal punto di vista produttivo che occupazionale. Al 2030, l'obiettivo è di produrre più di 800 mila tonnellate di olio vegetale all'anno e garantire lavoro fino ad un milione di famiglie.
Fra i progetti più avanzati nel continente africano vi è quello in Kenya, che punta in particolare sul ricino e coinvolge oltre 40 mila contadini con la potenzialità di raddoppiare il numero degli occupati entro la fine dell'anno, e quello in Congo, finalizzato tra l'altro ad ospitare diversi agri-hub per raggiungere entro il 2026 una produzione di 170.000 tonnellate di olio all'anno e 200.000 nel 2030, generando reddito per 90 mila famiglie.
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